Imploro le vostre scuse perciò se ieri l'altro vi ho annoiato organizzando tra i primi piatti e il companatico una sorta di comizio, inalberandomi e non poco, quasi avessi davanti un pubblico vasto e ostile, mentre voi ascoltavate con vago interesse persino.
Così dopo mesi di un ruminare in solitaria per evitare le bagatelle di chi ai ragionamenti preferisce il tifo da stadio, non mi è parso vero di potermi ergere su un trespolo (che non avevo) e fare un discorso in famiglia come fossi tra gli scranni del parlamento.
Chiedo perdono a te, per prima, Isabella, se cinque volte hai tentato di inserirti nel discorso e per cinque volte sei stata rimbalzata, che una simile veemenza dovevano contrastarla neppure le suffragette di inizio Novecento.
Domando venia a te, Giacomo, con il quale pure parlo spesso di politica e l'altra sera, dopo i primi dieci minuti di attenzione, in tre occasioni hai cercato di sgattaiolare dalla cucina alla zona giorno e per altrettante volte sei stato richiamato, in un paio di circostanze anche con malcelata stizza da parte mia, come colui che sta decidendo i destini della nazione e teme che coloro che gli sono vicini non si rendano conto dell'ora "segnata dal destino" che stiamo vivendo.
I miei rispetti a te, Giovanni, unico che, dati i tuoi sedici anni e una serata che ti vedeva particolarmente su di giri, hai visto tollerato un interesse evidentemente parziale e hai sbirciato continuamente il telefono e cercato di far ridere di sottecchi tua sorella, con smorfie buffe e ammiccamenti per prendermi in giro.
Onore a te, Giorgia, la sola a sembrare colpita davvero, con domande che a tratti mi hanno infervorato, a tratti invece indispettito (per l'ingenuità o perché spesso non capivi e così dovevo ripetere, assumendo lo stesso atteggiamento - tra l'altro - che aveva la mia odiatissima professoressa di matematica al liceo!).
Ho esagerato, lo so, cercando di compensare con voi una sorta di aventino che per eccesso di razionalità o per cinismo o per codardia, sui temi politici, in questi mesi mi sono cucito addosso.
Ma ciò sarebbe nulla se non confessassi la vera colpa e il motivo autentico per cui ho scritto tutto questo: approfittando del vostro fuggi fuggi, durante la prima pausa del mio accorato comizio, ho finito tutto il mezzo chilo di fragole con il succo di limone che c'era sul tavolo, approfittando del fatto che nessuno nella mezz'ora successiva ha osato riaffacciarsi nelle vicinanze. E ciò vi serva da lezione: sei voi non vi interessate di politica, la politica si interessa di voi e fa sparire le cose che contano.
P.S. "Fragole a parte, qual era il nocciolo del discorso che l'altra sera hai tenuto, Giorgio?". Qualcuno, qualche sconsiderato, se lo sarà chiesto. E se così non fosse, come temo, io non vedo comunque l'ora di dirlo. La premessa era questa: non siate negativi o pessimisti, dimenticate per un momento nomi e volti e storie personali e proclami e polemiche di questi mesi, poiché il teatro di oggi è nel nocciolo identico a quello a cui da decenni assistiamo, mentre dovremmo essere interessati a comprendere se esiste qualcosa di nuovo, di epocale oserei dire, che merita di essere sottolineato con un pennarello rosso e studiato con la cura e la passione con cui l'entomologo osserva un coleottero mai prima visto. La risposta è: sì, c'è a mio parere qualcosa di inedito, di curioso, interessante, di potenzialmente in grado di segnare una svolta e una rottura con il passato. Magari, la prima volta che tornano in tavola le fragole, fatevi invitare a casa mia e ne riparleremo.
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