Li guardo così, impilati uno sopra l'altro, sulla mensola dell'angolo lavanderia, orfani colorati in attesa di un ricongiungimento che non arriva.
Saranno una dozzina e nei giorni in cui mi sento riflessivo provo a ipotizzare dove diavolo siano finiti gli altri: dimenticati in un borsone sportivo, imboscati nell'anfratto di un armadio, abbinati erroneamente ad altre paia, bloccati nel cestello o nella guarnizione circolare dello sportello della lavatrice.
Lì, ogni tanto, guardo. Borsoni o armadio non immagino neppure di ispezionarli, mentre la lavatrice stuzzica l'investigatore che c'è in me: prima controllo sommariamente, tasto con la mano, poi, non contento, mi metto in ginocchio e infilo la testa, più puntiglioso di un fiscalista.
Generalmente è in quel momento, quando realizzo di aver scovato nulla e di trovarmi in una posizione imbarazzante, che realizzo l'effimera inutilità di tanta parte delle azioni quotidiane e nel contempo l'ammirabile ostinazione con cui ogni santo giorno usciamo dal letto e ci mettiamo in pista.
P.S. Questo post non volevo scriverlo. Per molti motivi. Il principale è che in questo tempo sento forte la banalità di ciò che mi passa per la testa e tutto mi pare già stato detto, per cui nulla vale la pena, meglio rinunciare, attendendo - se mai arriverà - l'illuminazione lampante, definitiva.
Come ogni Godot che si aspetta, alla fine però mai arriva. Esattamente come i calzini spaiati di cui sopra.
La differenza allora (nella scrittura come nell'esistenza umana) non la fa il genio, il talento, bensì la cocciutaggine, la perseveranza, l'obbligo del fissarsi una meta e raggiungerla, costi quel che costi, senza troppi scrupoli, facendo leva sulla stessa irrilevanza che prima paralizzava. È così che da oltre dodici anni questo blog tira avanti, riportando nulla di fondamentale, se non appunti di viaggio che - come conferma il totalizzatore qui a fianco - hanno superato il mezzo milione di visualizzazioni. Saranno anche effimere, ma sono comunque un pezzetto di vita.
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