“Mai restare in pigiama. Anche soltanto per bere un caffè, ci si veste, ci si trucca e si esce, ogni giorno”.
Paša ha settantasei anni, un passato da ballerina e un presente da donna unica, ma non sola, poiché nonostante la guerra le abbia sottratto la vicinanza fisica di parte della famiglia, si ostina a uscire di casa, a coltivare passioni, amicizie, una vita.
Ripenso alle sue parole, che mi sembrano la migliore pietra angolare per quella che a tutti gli effetti, soprattutto quest’anno, è una ripartenza.
Non restare in pigiama. Svestirsi di dubbi, incertezze, esitazioni, pigrizia, sciatteria, affrontando ogni santo giorno con dignità, buoni propositi, energia.
Vale per me - sospeso tra il limitarsi a seminare bene nel solco tracciato dall'aratro dell’esistenza oppure cercare orizzonti ampi e nuovi campi per mettere a frutto quanto ricevuto in sorte, per dono o conquista - e conta ancor più per chi invece ha una pena grande e dunque motivo di farsi cadere le braccia, di arrendersi alla depressione, alle delusioni, alla malattia, sia mentale sia fisica.
Con una differenza.
Nel secondo caso è più difficile, anche se non c’è scelta: reagire, non cedere all'inerzia, è una questione fondamentale, di sopravvivenza.
P.S. Sono fortunato. Non conosco la depressione, se non in maniera indiretta, osservata da lontano o da vicino, in alcune persone care, ma nelle forme più lievi, quando labile è il confine tra il male di vivere e la melanconia. Quando ho ascoltato la regola di Paša ho pensato innanzi tutte a loro, a quanti faticano ad alzarsi persino dal letto, la mattina, e anche a chi ogni giorno in pubblico indossa una maschera, ma dentro ha una tenda buia. che tutto ammanta, oscura. Nel mio piccolo posso fare poco, se non esprimere comprensione, vicinanza.
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