Hai voluto fare di testa tua, come sempre, prendendone una vera, alla Statale di Milano, con discussione della tesi, proclamazione, voto, corona d'alloro e festa di amici e parenti.
Ometto di netto tutto il resto - l'orgoglio, la gioia, l'emozione... - punto dritto al cuore, a ciò che per me ha valore.
Non tanto l'università in sé, come istituzione, quanto l'università in te, cioè lo studio, la conoscenza, il sapere e tutto quanto ha cambiato la tua e la nostra vita, in meglio, come persone.
Non tanto il diploma, quanto il punto che si mette alla fine, il percorso che si chiude, poiché è soltanto così che un altro se ne può aprire.
Non tanto l'eccellenza nel capire, quanto la perseveranza e il gusto del cercare, quella curiosità che è come energia inesauribile e dà senso a ogni esperienza, considerato che da ogni esperienza c'è da imparare.
Questo è ciò che conta, di questo sono fiero e lieto, veramente, poiché non carta è la laurea che hai preso, ma carne.
P.S. Della tua tesi, quella sul linguaggio sessista e di come noi per primi ne siamo portatori inconsapevoli, ne ho già scritto, un paio di settimane fa, forse tre. Ammetto però che più passa il tempo, più le tue riflessioni mi convincono, più mi pare urgente una coscienza diffusa, un concreto cambiamento nell'uso delle parole e della ricerca dell'eguaglianza, tra generi.
Ecco, anche in questo, figlia mia, hai voluto essere originale, spiegando non in teoria, bensì nei fatti, come la filosofia non sia qualcosa di vago, astratto, lontano, ma affronti - e spesso risolva - problemi pratici, attuali, concreti. In questo sei in linea con la più profonda nostra tradizione famigliare e vedo i volti di chi ci ha preceduto che stanno annuendo, serafici.
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