Risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”.
Il Signore soggiunse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla”.
(Libro di Geremia, Antico Testamento)
È lo spunto della tesi di Giorgia (l'ipotesi Sapir-Whorf, secondo cui la lingua non soltanto racconta, rendiconta, ma contribuisce a formare la realtà stessa) e pure il fondamento della tradizione monoteista giudaico cristiana, che mette in principio la Parola, facendola diventare carne, realtà, essenza.
Le parole creano, ma anche allontanano. Oppure avvicinano.
L'ho presa profonda, per raccontare un'esperienza lieta: i due fili che sono tornati asola con Viviana, che non vedo da parecchio e che ho avuto modo di risentire qualche giorno fa, per messaggio, in occasione del suo compleanno.
"Sono felice quando compio gli anni, vuol dire che il mandorlo sta fiorendo e la primavera anche quest'anno arriva" mi ha risposto, non di maniera, rivelando una sensibilità e una profondità di sguardo che con gli anni le è diventata ancora più a punta.
Il mandorlo, come però ha tenuto a precisarmi, non è un'immagine poetica, poiché ne ha davvero uno, nel giardino di casa. E quando le ho scritto che mi stava facendo venir voglia di piantarne uno anch'io, scalzando la preferenza che ho per il profumatissimo calicanto ha ribattuto serafica e pragmatica come soltanto le donne sanno essere: "No no, meglio il calicanto. Il mandorlo è effimero. Canta una settimana, poi perde tutti i fiori in un attimo".
P.S. La citazione biblica iniziale ha senso compiuto unicamente nel testo originale, poiché "Mandorlo" in ebraico è "shaqued", il vigilante. Così si comprende la risposta di Dio: «Hai detto bene: io, infatti, vigilo ("shoqued") sulla mia Parola per realizzarla».
Ecco, l'idea di un Creatore che con la Parola realizza, ma anche gioca, mi piace molto. Conforta. Aggiunge lievità al greve del verbo che si fa carne (per i cristiani addirittura "persona").
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