Ho sentito parlare monsignor Franco Buzzi, il sacerdote che sostituirà Gianfranco Ravasi come prefetto dell’Ambrosiana, soltanto tre o quattro volte.
Monsignor Buzzi è di Lurate (Como), come me. E a lui si attaglia quel che i compaesani di Gesù dicevano di lui: “Non è forse figlio del falegname”. Suo padre, infatti, detto “ùl Tiléta” (abbreviativo dialettale di Attilio) commerciava in legname, attività ora svolta dal fratello. Era un tipo particolare, “ùl Tiléta”, lavoratore indefesso come ne nascono tanti da queste parti, ma altresì commerciante di talento, non estraneo a qualche vezzo eccentrico. Un giorno - racconta il mio di un padre, che per anni portò il proprio camion alla pesa dei Buzzi e che li conosceva bene – il già maturo Attilio chiamò l’imbianchino per verniciare il cancello e disse che lo voleva giallo. “Lo facciamo così, o così, o così” propose l’operaio, mostrando le sfumature più delicate e consuete di giallo, dall’ocra al sabbia. “No!” rispose quasi arrabbiato il Buzzi, “lo voglio giallo! Giallo canarino!”
Ho sempre avuto simpatia, io, ragazzino, per quell’uomo, quel vecchio ormai, a cui piacevano i colori forti, da bambino.
E ogni tanto me lo immaginavo, a discuter con quel suo figliolo, che aveva ostinatamente rifiutato un avvenire nell’impresa di famiglia, scegliendo tra la sorpresa di un paese intero di entrare in seminario, di andare a prete.
Mi è sempre parso più studioso che divulgatore, monsignor Buzzi, vuoi per il tono piano della voce, vuoi per la complessa trama dei ragionamenti, raramente (direi mai, per quelle poche volte che direttamente l’ho sentito) intervallati da aneddoti, aforismi, curiosità, che conferiscono al discorso quel brio per rendere più comprensibile tutto il resto.
Un altro giorno, parlando con il nostro parroco, Don Luigi, Buzzi si soffermò a descrivere gli studi corposi su Lutero e il periodo della riforma, nei quali è considerato un luminare assoluto. “Ne avrò fino al 2009” aggiunse convinto. E quella capacità di programmare a lungo termine un percorso di approfondimento, mi colpì molto.
Ora monsignor Buzzi, con i suoi occhiali spessi, con quella sua infinita mitezza di sguardo, è chiamato a un ruolo prestigioso e insieme delicato. Far marciare la Veneranda Pinacoteca e Biblioteca Ambrosiana e sostituir un genio qual è Gianfranco Ravasi, divenuto arcivescovo e chiamato in Vaticano, a guidare il dicastero della Cultura.Auguri, don Franco. In un paese come il mio, in cui la cultura è rara e spesso tenuta sotto il moggio, la sua nomina è uno sprone, oltre che un orgoglio.
Monsignor Buzzi è di Lurate (Como), come me. E a lui si attaglia quel che i compaesani di Gesù dicevano di lui: “Non è forse figlio del falegname”. Suo padre, infatti, detto “ùl Tiléta” (abbreviativo dialettale di Attilio) commerciava in legname, attività ora svolta dal fratello. Era un tipo particolare, “ùl Tiléta”, lavoratore indefesso come ne nascono tanti da queste parti, ma altresì commerciante di talento, non estraneo a qualche vezzo eccentrico. Un giorno - racconta il mio di un padre, che per anni portò il proprio camion alla pesa dei Buzzi e che li conosceva bene – il già maturo Attilio chiamò l’imbianchino per verniciare il cancello e disse che lo voleva giallo. “Lo facciamo così, o così, o così” propose l’operaio, mostrando le sfumature più delicate e consuete di giallo, dall’ocra al sabbia. “No!” rispose quasi arrabbiato il Buzzi, “lo voglio giallo! Giallo canarino!”
Ho sempre avuto simpatia, io, ragazzino, per quell’uomo, quel vecchio ormai, a cui piacevano i colori forti, da bambino.
E ogni tanto me lo immaginavo, a discuter con quel suo figliolo, che aveva ostinatamente rifiutato un avvenire nell’impresa di famiglia, scegliendo tra la sorpresa di un paese intero di entrare in seminario, di andare a prete.
Mi è sempre parso più studioso che divulgatore, monsignor Buzzi, vuoi per il tono piano della voce, vuoi per la complessa trama dei ragionamenti, raramente (direi mai, per quelle poche volte che direttamente l’ho sentito) intervallati da aneddoti, aforismi, curiosità, che conferiscono al discorso quel brio per rendere più comprensibile tutto il resto.
Un altro giorno, parlando con il nostro parroco, Don Luigi, Buzzi si soffermò a descrivere gli studi corposi su Lutero e il periodo della riforma, nei quali è considerato un luminare assoluto. “Ne avrò fino al 2009” aggiunse convinto. E quella capacità di programmare a lungo termine un percorso di approfondimento, mi colpì molto.
Ora monsignor Buzzi, con i suoi occhiali spessi, con quella sua infinita mitezza di sguardo, è chiamato a un ruolo prestigioso e insieme delicato. Far marciare la Veneranda Pinacoteca e Biblioteca Ambrosiana e sostituir un genio qual è Gianfranco Ravasi, divenuto arcivescovo e chiamato in Vaticano, a guidare il dicastero della Cultura.Auguri, don Franco. In un paese come il mio, in cui la cultura è rara e spesso tenuta sotto il moggio, la sua nomina è uno sprone, oltre che un orgoglio.
Nessun commento:
Posta un commento