E' qui che mi guarda, con pupille penetranti e gli occhiali tondi, barba pepe e sale ben curata e lupetto nero. Steve J. mi guarda, dalla copertina del libro di Walter Isaacson, che ho comprato pur essendo generalmente ostile ai libri che comprano tutti: li compro anch'io, ma due o tre anni dopo.
Stavolta non ho resistito. Non ho ceduto all'istant book del Corriere, né ad altre pubblicazioni che d'un tratto hanno occupato gli scaffali migliori, ma quando sono entrato nel negozio di piazza San Fedele, una settimana fa, lui, Steve J., mi guardava, con quello sguardo intenso che diceva: "Sono qui per te, proprio per te". L'ho comprato. Perché il genio m'ha sempre affascinato e pur essendo io all'esatto polo opposto, quello della mediocrità, proprio come lui mi sono sempre sentito speciale, fortunato, un predestinato. Per fare che? Non lo so. Non si può avere sempre tutto.
Premesso questo, sono rimasto colpito da due cose. Una scontata ed è la capacità degli americani di scrivere biografie che non siano celebrazioni di questo o quel personaggio, ma cerchino di raccontarne la complessità, lato oscuro incluso. L'altra ne è una diretta conseguenza ed è la differenza tra il Jobs maturo, pubblico, patinato, che hanno conosciuto milioni di persone nel mondo, e quello controverso, fragile, a tratti inquietante, che traspare dal libro.
E' proprio vero ciò che ho notato quest'estate e che ho già messo d'appunto qui, cioè che impressionante è la differenza tra un prato visto da lontano, dall'alto e guardato appoggiandoci il naso.
Il genio è un tizzone ardente, che brucia dentro e, se non si sta attenti, tutt'attorno. Ciò non toglie un'oncia alla grandezza dell'uomo, ma lo fa scendere dal gradino più alto, impedendogli di tradire se stesso, sentendosi un dio.
La cosa che mi ha colpito di più? A parte che non era leale (ma questo credo sia nel dna di qualsiasi imprenditore di successo, fa parte del principio darwiniano che sopravvive il più forte o, nel caso specifico, il più furbo) e che per anni e anni ha camminato scalzo, facendosi il bagno di tanto in tanto, mai comunque più di una volta alla settimana, credo di esser rimasto impressionato dal numero di volte in cui ha pianto. Per rabbia, frustrazione, delusione, quasi mai per compassione, così almeno appare dal libro. Per questo si è dedicato alla cultura zen, per trovare equilibrio, per incanalare le fiamme e impedire che lo divorassero.
Foto by Leonora
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