martedì 23 ottobre 2007

Medico promuovi te stesso


La notizia la trovo a pagina 23 del Corriere di oggi, di “taglio basso”, cioè nella parte inferiore della pagina.
Negli Stati Uniti – si legge – la “Well-Point”, il più grande gruppo assicurativo americano, pubblicherà una sorta di guida dei medici migliori, definiti tali in base alla valutazione che di essi danno i pazienti stessi. Ben trenta i parametri utilizzati: dalla fiducia all’efficacia nel comunicare, dalla reperibilità del medico alla cortesia nel trattamento ricevuto.
Ora, pensare di definire il valore di un medico soltanto dal parere del suo paziente è inopportuno. Primo, poiché in genere a orientare, se non determinare il giudizio è il risultato ottenuto, secondo la semplice regola: se il dottore indovina è bravo, altrimenti no.
Secondo, perché il paziente andrebbe curato, non “accontentato”.
Il massimo sarebbe ovviamente poter contare su un dottor House, il medico dell’omonimo telefilm americano, scorbutico e indisponente, ma incredibilmente bravo in diagnosi e terapie, che avesse in dono pure l’umanità di un altro medico celebre, interpretato da William Hurt nel film “Un medico, un uomo”. Ovviamente, il binomio è raro.
Tornando alle valutazioni del pazienti, un modello che non le escluda credo sarebbe utile anche nel nostro sistema sanitario pubblico, dove “baronie” e raccomandazioni potrebbero essere temperate, se non cancellate, da un sistema a giudizio doppio.
Faccio un esempio. Mio padre, malato ormai grave di cancro, qualche settimana fa, per un problema alla bocca, viene spedito al pronto soccorso del Sant’Anna e da lì indirizzato al reparto di otorinoringoiatria. Viene visitato dal dottor Antonio Rinaldi, gentilissimo, che annota tutto a computer, decide cosa fare, stampa un foglio per i miei genitori, premurandosi di spiegare nel dettaglio anche a voce, rispondendo a varie domande e fissando un ulteriore controllo.
Al controllo successivo, il medico di turno è un altro, tale Marco Corbetta, il quale visita mio padre – a cui nel frattempo si è abbassata la voce, tanto che invece di parlare sussurra – chiedendo a mia madre, che lo ha accompagnato, di restare fuori dalla sala visita. Alla fine, senza spiegare nulla a mio padre, prende il foglio stampato dal dottor Rinaldi la volta precedente e aggiunge a penna, nel poco spazio residuo, quattro righe in tutto, e congeda i miei genitori dicendo che tutto quello che c’è da sapere l’ha scritto.
Una volta a casa, lasciato a me il compito di decifrare il tutto, trovo scritto: paralisi della corda vocale destra. Perché sia successo, se sia un fenomeno transitorio o definitivo, se si possa curare o alleviarne le conseguenze negative e altre cento domande rimangono senza risposta, tanto che la decisione è quella di rivolgersi a un medico privato.
Di storie così e, purtroppo, assai più gravi, è pieno il mondo. Noi, come famiglia intendo, siamo stati già fortunati, sia come medico di base (il dottor Giovanni Sassi, andato in pensione due giovedì fa, dopo decenni di onorato servizio) sia come servizi specialistici, visto che grazie al sistema sanitario nazionale mio padre, per un tumore allo stomaco e ora anche ai polmoni, è in cura al Valduce da quattro anni e non possiamo che dirne bene.
Tuttavia, inserire la possibilità di esprimere un giudizio sui medici da parte dei pazienti e fare in modo che questo giudizio conti, credo sia un metodo efficace ed utile per il futuro. Nella speranza di non ammalarsi prima.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Come spesso succede nella vita la fortuna può assumere un ruolo più o meno rilevante; in concomitanza della prima visita è stata benevola, la seconda volta probabilmente aveva gli occhi bendati.
E chissà quante altre persone che ti leggono potrebbero raccontare le loro storie, positive e non, riguardo l’approccio professionale e/o umano incontrato nel rivolgersi a qualsiasi ente e/o ufficio pubblico.
Sarebbe senza dubbio efficace che la classificazione di merito di chi occupa un posto al servizio del cittadino, fosse l’integrazione tra i risultati di una seria selezione professionale e il giudizio espresso da chi usufruisce di tale servizio, a maggior ragione in ambito sanitario dove anche un approccio cordiale o un sorriso sincero possono beneficiare il malato, e chi gli sta vicino, più di una medicina; ma nel nostro sistema/paese ciò è più una speranza o un utopia?
Purtroppo quando la fortuna non ti guarda la scelta, come anche citato nella tua riflessione, del bravo medico o perlomeno di colui che ti ispira fiducia o di cui hai sentito parlare bene, è univocamente indirizzata al professionista che esercita privatamente (tra l’altro non per tutti possibile) .
Nella speranza, tutti, di averne bisogno il meno possibile, ti saluto con stima.

Giorgio ha detto...

E' vero, la classificazione di merito dovrebbe essere estesa a tutti i servizi pubblici.
A proposito del sorriso, voglio rendere partecipe di una riflessione che ho letto ieri l'altro, sul libro di Ravasi che sto leggendo quest'anno.
Sosteneva che, a differenza di ciò che sostiene Gibram ("Un sorriso non costa nulla a chi lo dono e arricchisce chi lo riceve) un sorriso può costare moltissimo, nel senso che per sorridere occorre una disposizione d'animo interiore, una serenità non scontata. Forse per questo - aggiungeva - è stato calcolato che un bimbo sorride centinaia di volte al giorno e un adulto, in media, solo una decina.