Avresti voluto fare di più, salutarla meglio, allungarle almeno un poco i giorni, anche se comprendi che la sofferenza la stava divorando e trattenerla sarebbe stata un gesto di egoismo.
"Tutti mi dicono: devi essere forte, tuo papà ha bisogno di te, tua sorella ha bisogno di te, le tue figlie hanno bisogno di te... Ma a me chi pensa?" hai scritto.
Ci penso io, ci pensano le molte persone che ti vogliono bene anche senza dirtelo.
Non quel "pensarci" che equivale a un alleviare, risolvere, fare qualcosa, che è ciò che desideri in questo momento, ma che risulta impossibile all'essere umano.
Il mio, il nostro, è un pensiero di rimando, un non lasciarti sola comprendendo quanto sola ti senti, in quale morsa hai il cuore, com'è opprimente quella desolazione che ti accompagna quando ti alzi al mattino, prima di addormentarti la sera, ogni volta che ti fermi un istante e riprecipiti nel baratro.
Non abbiamo il potere di medicare la tua lacerazione, possiamo soltanto dirti che ti comprendiamo e testimoniare ciò che chi è vissuto prima di te ha già provato, cioè che passerà, che la vita come sempre sarà più forte della morte, che con il passare del tempo, senza accorgertene, tornerai a sorridere e la dolcezza, la tenerezza del ricordo prenderà il sopravvento sul vuoto non colmato che ora avverti come un macigno sullo stomaco.
Perché chi se ne va non ci lascia, resta con noi, non più fuori, né accanto, ma dentro.
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