Da un mese e passa la guardo con occhi da innamorato.
È minuta, è vero, giovane anche, pur se le forme sono quelle che avrà da adulta. Parla poco, si fa capire lo stesso, in silenzio, e anche per questo le sono grato: mi insegna il significato di “stare in ascolto”, oltre che l’importanza di essere costante, il valore del prendersi cura come metodo, come stile, impegno quotidiano.
La pianta di mandarino è sul davanzale della casa di Bergamo, incurante dello smog dello stradone sottostante, dopo che per diverse settimane mi ha fatto compagnia all'interno dell’appartamento.
Porta con sé tre agrumi maturi e quando l’ho comprata aveva pure un paio di fiori, che in principio parevamo destinati anch'essi a diventare frutto.
Non è stato così, da un giorno con l’altro i boccioli sono caduti: il suo modo per farmi capire che tenendola vicina vicina, dentro le mura di casa, forse sarebbe sopravvissuta, cresciuta di foglie e di tronco anche, ma senza generare vita nuova. Perciò l’ho allontanata un poco, rinunciando a qualcosa io pur di metterla a proprio agio, restituendola all'aria aperta, a un ambiente più umido, adatto.
Come si cambia, mi verrebbe da scrivere. L'ho scritto.
Non tanto il bonsai, soprattutto io.
Mi sono ritrovato quell'alberello in casa dopo averla acquistato per fare un regalo che infine, per disegni suoi, non è stato consegnato. Ormai però lo sentivo mio e - un po’ perché mi ricorda la persona a cui avrei dovuto donarla, un po’ perché l’ho letto come un segno del destino - invece di sbarazzarmene l’ho adottato, quasi fosse un bambino.
Una scelta azzeccata, che mi ha fatto bene, rivelando una parte sconosciuta persino a me stesso, ricordandomi che si evolve sempre, si cambia appunto, si può cambiare, riscoprendo il gusto di non dare nulla per scontato ed evitando la condanna di guardarsi allo specchio tutta la vita indossando un identico vestito.
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