Venti righe. Indro Montanelli sosteneva che in venti righe si può raccontare tutto. Bastano tre parole invece per spiegare le ragioni di questo blog: comunicare, in libertà. Per il resto, vale per me ciò che scrisse Jorge Luis Borges, "I miei limiti personali e la mia curiosità lasciano qui la loro testimonianza".
domenica 18 marzo 2012
Gherùm nagòtt (Qualcosa è rimasto)
C'era Mauro accanto a me sul treno, il mattino dopo che il dottore del Valduce aveva detto che mio padre aveva un cancro e non sarebbe sopravvissuto a lungo. Andavamo a Milano, prestissimo, per registrare le telecronache dei gran premio di motociclismo che sarebbero andate in onda su Espn Sport Classic. Non dissi una parola per tutto il viaggio, avevo un peso che mi velava persino lo sguardo e un'angoscia devastante, dentro. Ora le parti si sono invertite e vorrei essere vicino a Mauro, a Marco, a Simona con la stessa capacità di consolazione che hanno avuto loro per me, in tutti quei mesi di convivenza con la malattia e poi col lutto, anche se il loro precipitare nel dolore è stato rapidissimo, improvviso, più che una discesa uno schianto e immagino si sentiranno come "quando il mondo sembra finire". La frase non è mia, ma di David, che ha anch'egli perso la mamma, appena qualche settimana fa, per cui sa cosa si prova, sa quanto brucia quel cordone ombelicale tagliato di netto. Ma più di tutti, oggi, mi sento vicino ad Angelo. Sua moglie, Giuseppina, la mamma di Marco, Simona, Mauro, non ha fatto in tempo ad arrivare al giorno del santo di cui porta il nome e oggi, a metà pomeriggio, l'ha lasciato solo, dopo quasi cinquant'anni di matrimonio. Nei tre minuti in cui ci siamo parlati senza nessuno attorno, in dialetto mi ha detto una cosa che me l'ha fatto sentire identico a mio padre, a mia madre: "Gherùm nagòtt", che tradotto si legge così: "Abbiamo cominciato che non avevamo niente". E' la storia e la morale di migliaia di coppie sposate negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, che con sacrificio, senza conoscere ferie o sabato e domenica hanno permesso a noi, ai loro figli, di prosperare. Vivessimo cent'anni quel costruire senza avere nulla, partendo da zero, non lo comprenderemmo, non almeno sotto pelle, dove l'esperienza s'incrocia con il diventarne coscienti, appieno. Giuseppina prima di andare in pensione faceva l'infermiera e conosceva il prendersi cura, come ha fatto per i figli, per Angelo e persino per i nipotini, Alessio e Matteo, che ha fatto a tempo a conoscere e che rappresentano la ruota che gira, il cielo sereno dopo quello buio. Ma queste sono frasi retoriche, di certo c'è soltanto il dolore e il vuoto che scava un solco.
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