Puoi conoscere il cuore di un uomo già dal modo in cui egli tratta gli animali.
(Immanuel Kant)
Il rapporto che gli esseri umani hanno con gli animali è antico quanto il mondo, a partire dalla constatazione elementare che pure noi lo siamo, pur se ci fa spesso comodo dimenticarlo.
Non potendo analizzare in venti righe gli ultimi quattro e rotti miliardi di anni - e neppure i cinquecentotrenta milioni nei quali compaiono i vertebrati - mi limito al recente principio del terzo millennio, con particolare riguardo alla scorsa settimana e ad eventi che mi hanno visto testimone diretto.
Il primo è legato a un acciacco di Larry, il setter irlandese che ci tiene compagnia da sei anni e che da qualche giorno guaisce talvolta di dolore per un apparente dolore alla zampa posteriore destra.
Tralascio la trafila medico veterinaria, degna di un episodio di Grey's Anatomy o di The Good Doctor, con tanto di anamnesi, lastre, tac, antidolorifici, cortisone e farmacia cantando, con cure e premure che soltanto una ventina di anni fa neppure immaginavamo.
Una solerzia d'azione e una partecipazione emotiva circoscritta però all'animale domestico, poiché basta avere setole ispide, pelo irsuto e corpo tarchiato per ricevere ben altro tipo di considerazione e trattamento.
Da qualche tempo infatti - non svernando da queste parti la tigre, il leone, il crotalo o il varano di Komodo, né potendocela prendere con il sempre più emarginato lupo, a cui per secoli abbiamo affibbiato nelle fiabe e negli incubi il ruolo del cattivo - tiene banco il "terrore da cinghiale", con una narrazione che ne descrive le gesta non per ciò che è, ovvero un generalmente pacifico suino, bensì come la maggior parte di noi finisce per immaginarlo.
Ecco così che si ripetono i racconti di cinghiali inseguitori, di cinghiali aggressori, di cinghiali in agguato a bella posta, pronti ad azzannare, ferire, uccidere attaccando alla gola, se il caso.
Una vera e propria campagna diffamatoria, della quale la storia - ne sono certo - ci chiederà conto.
Il problema è la cronaca.
Esiste infatti un amore sempre più diffuso per cani e gatti, le cui caratteristiche innate ricordano inconsciamente quelle dei cuccioli d'uomo, dei bimbi di tre anni, più o meno, con il vantaggio emotivo di restare tali, di non crescere e dunque di stimolare di continuo il potente impulso evolutivo ad accudirli, ad attivare nel cervello le aree legate all'attenzione e alla ricompensa.
Il cinghiale invece, che è grosso e grufola e puzza, anche se quasi sempre si fa gli affari suoi e al massimo - quello sì - devasta prati e campi coltivati, è relegato senza scampo a bestia, a bruto, a nemico persino.
Mentre i soli nemici lo siamo noi, a senso unico, suo malgrado.
P.S. Mai avrei scritto questo post, pur se sovente mi innervosisco allorché sento fesserie sul loro conto, se non fosse che anche mia madre, che in teoria avendo più di ottant'anni dovrebbe avere un briciolo di memoria e di senno, l'altra sera non mi avesse chiesto agitatissima: "Hai chiuso il cancello? E la porta della cucina? Perché ci sono in giro i cinghiali!".
Per lei e per tutti coloro che ne sono terrorizzati, ricordo che (a meno che sia avvenuta di recente una mutazione genetica: chissà, magari il vaccino anti Covid temuto dai No Vax s'è trasmesso a loro) il cinghiale, in novantanove casi su cento, appena sente la presenza dell'essere umano - e la sente quasi sempre grazie all'olfatto, finissimo, o all'udito, più che buono, mentre per vederci ci vede pochino - scappa a gambe levate.
E se anche non dovesse scappare, poiché vi trovate su quella che per lui è una "via di passo", vi basterà voltare le spalle e allontanarvi ed esso non si sognerà neppure di seguirvi.
E se invece si tratta di un cinghiale femmina e ha dei cuccioli e voi avete un cane non al guinzaglio e il cane abbaia o lo attacca e la mamma cinghiale reagisce?
Beh, in quel caso, se vi rincorre e attacca a sua volta, non è "cattiva" lei, siete un poco sprovveduti voi e che siate sprovveduti voi e non è un problema suo.
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