“Quando sto davanti a te alla fine del giorno, tu dovresti vedere le mie cicatrici e sapere che io ho avuto le mie ferite e anche le mie guarigioni.”
(Rabindranath Tagore)
Dicono che la carne viva, dopo un contatto intenso con il fuoco, continui ad ardere, come brace, per giorni, a lungo.
Non so se sia vero, so però quanto brucia un conflitto non risolto, un vuoto improvviso, un amore spezzato, un'amicizia troncata, un litigio aspro, una delusione, un'incomprensione, un lutto.
Le ferite si rimarginano, le cicatrici restano: un'altra lezione che ho imparato sulla mia pelle, anche quando non era mia la pelle lacerata, semmai la mano che teneva l'impugnatura del coltello.
Passa. Tutto passa. Ripeterselo fa bene, così come ricordare che "più a fondo scava il dolore, più gioia si potrà contenere" - come mi scrisse David, un tempo indefinito addietro - ma né uno né l'altro leniscono il dolore nel momento in cui divampa e si propaga nel profondo.
Ciascuno di noi allora dovrebbe avere qualcuno che "alla fine del giorno" ci sta davanti, a cui poter mostrare le proprie cicatrici, che sappia le nostre ferite e guarigioni.
Ma più ancora noi, per primi, dovremmo essere per qualcun altro colui o colei che "sta davanti", che osserva, rimane attento, si mette in ascolto.
Aprirsi è importante. Lasciare aprire lo è altrettanto.
Come sempre: lo scrivo a tutti per ricordarlo a me stesso. Alla persona affaccendata, distratta, pigra, gretta, indolente che troppo spesso sono. Se dovessi confessare un cruccio, infatti, metterei ai primi posti la sensazione di "non esserci abbastanza", di farmi sfuggire momenti essenziali o relazioni che meriterebbero di essere coltivate e invece sfuggono, scivolano via, come la farina di granturco tra le dita quando non si stringe il pugno.
"Se ci tengono, si faranno vivi loro" mi ripeto, ma è una scusa banale, il velo lieve e vano che tenta di coprire un corpo nudo.
P.S. Non erano storie tristi quelle che in passato ho raccontato, non lo è neppure questa.
Ciò che lascia l'impronta d'un sorriso infatti è la certezza di essere compreso e, nel caso, perdonato, dalla stragrande maggior parte di amici e parenti e conoscenti a cui non do quanto potrei, quanto meriterebbero.
Una consapevolezza, quella della bontà altrui, che è sprone principale affinché ad essere magnanimo, comprensivo con gli altri sia io. Un circolo virtuoso in cui il torto fa da olio carburante e non da freno.
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