Sono passati quattordici anni e mi sembrava ieri. L'ultima volta che ho visto Bridgette Gordon, Giacomo non era ancora nato, la mia Mazda rossa era appena uscita dal concessionario e portavo jeans Armani alti in vita, modello Don Johnson.
Bri, per chi non lo sapesse, è stata una campionessa di basket, ha vinto con gli Stati Uniti le Olimpiadi di Seul nel 1988 e con la Comense 1872 ben sei scudetti, due coppe dei campioni e molto altro.
Oggi l'ho rivista, a casa di Angelo Migliavada, che per lei sono stati rispettivamente una seconda casa e un secondo padre. Bridgette è sempre la stessa, più dolce però, più distesa. Anche le forme sono più morbide ma lo sguardo è rimasto lo stesso, quello di una ragazza che è partita da zero, a cui nessuno ha regalato nulla e che per ottenere ciò che vuole deve essere furba, scaltra, con il cervello sempre in azione, mai addormentato. Bridgette era innanzi tutto intelligente. Non era la più talentuosa, la più palestrata, quella dotata di miglior fisico, di senso tattico e di un talento unico, raro. Aveva ottima tecnica, quello sì, ma sul campo da basket faceva valere anche altro: la duttilità, la sostanza. Se anche l'occhio vuole la sua parte, lei la sua se la prendeva con il cervello. Non era spettacolare, in sua vece piuttosto parlavano i numeri, le statistiche sempre positive. E poi sapeva stare a galla, in qualsiasi condizione, sapendo perfettamente quando era il momento di brontolare e quando invece era preferibile stare zitta, strisciare accanto ai muri per non incappare nell'ira del presidente Pennestrì o dell'allenatore di turno.
L'ho rivista volentieri, stasera, pur se per una mezz'ora scarsa, il tempo per qualche chiacchiera e un gelato con gli amici di sempre, Marco e Mauro. Mi ha fatto pensare a un tempo felice e forse mai apprezzato abbastanza, non goduto appieno.
Era la mia giovinezza e vivevo fianco a fianco con ragazze e ragazzi della mia età, con però una serietà da uomo maturo. Avrei dovuto essere più lieve, più coraggioso, più intraprendente. Nulla di che, ci mancherebbe. Qualche serata in discoteca, qualche cena o serata in compagnia in più e qualche paturnia in meno. Lo penso adesso, a conferma che le lezioni importanti s'imparano sempre quando la campanella della ricreazione è suonata. Ecco, avrei dovuto pensare più alla ricreazione e meno al compito in classe o all'esame di fine anno.
Ormai però è inutile piangersi addosso, anche quando - come nel mio caso - sono proprio due lacrime, niente di travolgente, il seme di un dubbio più che un tormento.
A parziale risarcimento so che, invece di badare a ciò che era e non è stato, meglio sarebbe evitare di fare errori adesso. Godermi più questo, d'un tempo. Prometto che lo farò, che non lascerò scivolarmi addosso le cose senza neanche pensare di acchiapparne qualcuno al volo.
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