Fake. Falso. Ogni volta che ascolto R101, al mattino (Paolo e Lester mi fanno troppo ridere, non riesco a rinunciarci) mi viene il nervoso.
La pubblicità della radio consiste in pseudo interviste ad ascoltatori che dicono il motivo per cui per loro è la numero uno. Idea non originale, con risultato tra il mediocre e il pessimo (a seconda dell'attore che dice la frase) e che invece di convincermi suscitano la tentazione di spegnarla o scegliere un'altra stazione.
Perché lo fanno? Chi sono i pubblicitari che hanno scelto lo spot, i dirigenti che l'hanno approvato, i vertici che ora, ascoltandolo, non corrono in regia, lo tolgono o, se non riescono, non tolgono la spina evitando così di fare un danno?
La realtà è sempre migliore e più varia di qualsiasi artificio. Me ne sono accorto al terzo articolo scritto in vita mia, diciannove anni non ancora compiuti e un sogno che si stava finalmente avverando. Per la Gazzetta di Como dovevo intervistare l'allenatore della Arexons Cantù, Carlo Recalcati e dopo averlo fatto con l'amico Mauro Colombo (lavoravamo in coppia) stavamo sudando da una mezz'ora per mettere assieme qualcosa di sensato, per trasformare in parole su carta il lungo discorso registrato. La folgorazione arrivò lì: concentrati come eravamo nel "creare" un articolo avevamo dimenticato che il modo più semplice era eclissarsi e limitarci a riferire ciò che lui aveva detto. "Racconta, non fare il furbo" come insegnava Buzzati. Allora però Buzzati l'avevo soltanto letto sui dorsi delle copertine di libri rimasti a far polvere sugli scaffali e ci sono dovuto arrivare da solo.
L'episodio m'è tornato in mente stamane, parlando con Stefano, che mi diceva quant'è forte la tentazione, specie per chi è alle prime armi in questo mestiere, di intervistare le persone per farsi dire ciò che pensiamo noi. Se si è disonesti e lo si fa per interesse è un conto, ma se si è in buona fede anche peggio, poiché soltanto la stupidità è peggiore del vizio.
Foto by Leonora
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