Saul Bellow
Seguo passo passo impronte delle persone a cui tengo e mi trovo a tastare con le dita il loro calco, nel punto esatto in cui s'intrecciano.
È capitato anche oggi, in occasione di un anniversario identico, pur se traslato nel tempo, tra due amiche che non si conoscono e che hanno perso il padre a quindici anni di distanza, lo stesso giorno.
Riporto qui le loro stesse parole, poiché non saprei descrivere meglio il sentimento che provano e ch'è comune a molti, a tutti coloro che hanno sperimentato la vicinanza della morte e l'eco di un dolore affine, gemello ad ogni essere umano.
Un anno senza più vedere il tuo viso, senza più sentire la tua voce, senza che il telefono suoni cento volte al giorno e dall'altra parte senta "Anto...".
Un anno lungo e faticoso, un anno vuoto, nonostante pieno di mille impegni e cose da sbrigare.
Un anno in cui non c'è stato un solo giorno in cui non ti abbia pensato, non Vi abbia pensato.
La sera soprattutto, nel mio letto, dove le lacrime possono scendere liberamente senza che nessuno mi veda.
Mi sento sola anche se sola non sono, piccola anche se piccola non lo sono più.
Vado avanti sì... Per forza... Perché devo farlo e perché il tempo scorre inesorabile e non posso fermarlo anche se lo vorrei tanto.
Ma è tutto diverso, tutto più difficile, tutto più vuoto... Anche i miei sorrisi non sono più gli stessi.
Ho perso il mio ruolo di figlia e non posso più chiamare né mamma né papà.
Invidio chi lo può ancora fare.
Vi porto sempre con me, nel mio cuore, che è il posto più sicuro in cui lasciarvi e da cui non Ve ne andrete mai.
Oggi sono sedici anni che mio papà è mancato.
La sera prima che morisse l’ho visto piangere... Per la prima volta nella mia vita. Ma le sue non erano lacrime di paura per quello che sapeva succedere di lì a poco.
In quelle lacrime c’era il suo tornare “umano”, perché un figlio vede sempre nel proprio padre un supereroe.
Ho trascorso l'ultima notte accanto a lui e le sue ultime ore a carezzargli il viso, cercando di liberarlo dal “peso” di dover essere il nostro supereroe fino alla fine.
Era giusto che potesse sentirsi umano... figlio... bambino... come forse per la vita che aveva vissuto non aveva potuto concedersi di fare fino a quella sera... Non potrò mai dimenticare la lezione che mi ha dato con quelle lacrime.
Non sono triste, perché lui è qui. E qui continua a vivere.
P.S. La morte dispiace sempre e ciascuno l'affronta a modo proprio, senza risposta al perché d'un tale dolore, che resta un mistero. Unica consolazione, pallida e vivida al tempo stesso, è la possibilità che concede la memoria, di tenere chi è caro con sé, nel modo più intimo: un dono inestimabile, che però paghiamo caro, finché la ferita diventa cicatrice e il dolce si mangia l'amaro.
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