sabato 15 novembre 2025

In memoria di te (Così vero, così vivo)

Sei alto più di me e forte, con quelle braccia e gambe che paiono rami verdi di larice, compatti e tosti.
I lineamenti invece sono rimasti dolci, così come gli occhi, luminosi, tali e quali a quelli del bimbo che eri quando in questa casa - la tua casa - sei arrivato.
Con te sperimento un bene vero, ricambiato. Sei cresciuto migliore di chi ti sta attorno e anche questo è un piccolo miracolo: fa onore a te e stupisce coloro che sanno soltanto misurare, ignorando che nella vita uno più uno non fa sempre due: l'amore moltiplica pure lo zero.
Così ti osservo mentre cucini, in quello che hai scelto per lavoro, e ammiro la tua meticolosità paziente, l'indipendenza d'azione, la confidenza tipica di chi agisce, prima che di ragione, d'intuito. Diventi ogni giorno più adulto, conservando per fortuna tratti fanciulleschi, che sulla soglia del diciottesimo compleanno stridono soltanto per quanti confondono il serio col noioso.
"Benedizione", sei una benedizione, è la prima parola che a te associo, convincendomene ogni giorno che passa, considerando ciò che sei al fondo: un dono.

P.S. C'è stato un tempo che scrivevo molto di te, pur se in forma anonima, poiché non volevo condizionarti e parimenti tenevo al fatto che di te bambino e poi ragazzo non andasse disperso tutto. Facevo memoria ed era una sorta di corredo. Se penso a te riesco a cogliere nitidamente ciò che non so, ma sento: l'esistenza di una rete di connessioni vasta e tuttora misteriosa, ch'è come il mare per i pesci, che essendo ovunque non dà modo di esser percepita dal di dentro. Ricordo il modo in cui sei arrivato; le coincidenze che - prima ancora - ti hanno portato al mondo; quel portento che è la natura, che segue suoi percorsi e non dà soddisfazione agli umani che vorrebbero ordinarla a loro piacimento, avendo la presunzione - la tracotanza - che esista un giusto e uno sbagliato e che lo sbagliato o il giusto siamo noi a deciderlo. Pia illusione. E tu sei qui a dimostrarmelo, ogni giorno, senza dover proferire parola, con quegli occhi scuri e profondi che per fortuna sovente si illuminano.

sabato 8 novembre 2025

Due rimpianti (Per tacer del cane)

Viviamo una stagione in cui dominiamo tutto, soltanto il “tempo” sfugge al nostro controllo. Pur sembrando infinito ne abbiamo poco, è limitato, così cerchiamo di piegarlo, ingabbiarlo, comprimerlo, forzarlo, sottometterlo, suddividendolo, frazionandolo. La rivoluzione industriale ha imposto un modello "a ore" che portiamo tuttora tatuato nel cervello. Un’altra rivoluzione, quella digitale, potrebbe ribaltare le carte sul tavolo e sgretolare la gabbia in cui ci siamo rinchiusi oppure sublimarla, dare un altro giro di vita alla morsa, mascherando per liberazione ciò che in verità è schiavismo.
Di certo è l’unica risorsa limitata, dunque preziosa, che esista al mondo. Assai più dello spazio, per dire. Eppure, non per il tempo, bensì per un lembo di terra i popoli si annientano, per cento metri quadri di casa sacrifichiamo buona parte della nostra esistenza, per accaparrarci materie prime si è disposti a lotte spietate e il denaro, da comodità, è diventato misura e padrone di tutto.
Se penso al mio, d’un tempo, riscontro che faccio cose che fino a ieri l’altro trascuravo. Una  dimensione più contemplativa, la definirei, senza rammarico per esserci arrivato soltanto adesso. “Ogni cosa a suo tempo” è sentenza ineluttabile, prima ancora che buon proposito.

P.S. Ieri l'altro, da qualche parte, ho letto questa frase: “Nessuno, sul letto di morte, si pente di aver passato troppo poco tempo davanti allo schermo di un telefono".
Credo sia vero. Il punto però è: cosa rimpiangerò io?
L'elenco potrebbe essere lungo. Provo a citare le prime due cose che mi vengono in mente, d'istinto.
Primo: sedere a tavola con persone amiche, vivere maggiormente la convivialità, le chiacchiere, le risate, la condivisione dei pensieri, i confronti. Ed essere più audace nel tessere relazioni, bussare alle porte, importunare chi merita di essere ascoltato.
Secondo: stare più a contatto con la natura, lasciarmi ammaestrare da colei che è maestra per antonomasia, in tutto; respirare più pollini nonostante sia allergico, potare più alberi, imparare ad aver cura delle piante, avere cura dei fiori, godermi più Larry, stare con lui sotto il faggio, che specie in questi mesi è uno spettacolo (la foto qui sopra ai dubbi non lascia scampo), tenermelo accanto mentre leggo, vivere quella relazione unica che si instaura tra essere umano e animale, invece di rinviarla colpevolmente, quando appunto avrò più tempo.

sabato 1 novembre 2025

Stelle pendenti (Trova le differenze)

Un paio di settimane fa sono andato ad ascoltare Sandro Sallusti, per lo stesso motivo per il quale l'anno scorso ero a sentire Nicola Porro. Stessa rassegna, identico salone affacciato sul lago, profondamente diversi loro, pur scrivendo per la medesima testata.
Sono schietto: Porro l'ho apprezzato, poiché instilla il dubbio, citando fatti; Sallusti mi ha infastidito, riportando opinioni, mistificando e in più ostentando la sindrome di Calimero (noi vittime, noi accerchiati, noi ostacolati, noi etichettati). La sua teoria è: "Siamo tutti uguali", ma non è vero. Tutti prendiamo una "parte", però c'è chi cerca di comprendere le ragioni degli altri e chi invece non ci prova nemmeno, usando le proprie convinzioni come una clava, un martello.
La differenza non sta in destra o sinistra, conservatori o progressisti, liberali o socialisti, bensì tra  “pendenti” (opinionisti che parlano ai loro “clienti” e cercano adepti, piegando o cercando di piegare ogni fatto alla loro teoria) e indipendenti (commentatori che di volta in volta valutano i fatti e cercando di comprenderne il buono e il gramo attraverso i loro valori di riferimento).
Gli uni non sono “meglio” degli altri. Semplicemente appartengono a due generi diversi e le persone, possono scegliere quale preferiscono. Una varietà di voci che distingue l'opinione pubblica democratica da quelle di altro stampo. La verità assoluta non esiste, l'unica garanzia di informazione libera è il pluralismo.

P.S. Se lo guardo a ritroso, tutta il mio percorso professionale è una continua ricerca di indipendenza nel giudizio. Cioè un vedere e raccontare ogni cosa come chiedeva Montanelli: "in chiaro scuro". Se infatti si enfatizza il "troppo chiaro" si è dei leccapiedi, se si predilige il "troppo scuro" si diventa canaglie. Sono occhiali, non verità. Però gli occhiali degli indipendenti permettono di dire che il re è nudo, a prescindere che stia simpatico o meno. I "pendenti" lavorano per giornali di schieramento, gli "indipendenti" per testate “generaliste”, come lo sono quasi tutte quelle “locali” per altro, nelle quali l’appartenenza è quella di un territorio, in cui c'è sia chi la pensa in modo, sia chi in quello opposto. Ecco perché a Brescia mi trovo a mio agio: pensare alle ragioni degli altri diventa necessario, esattamente come per i Sallusti, Belpietro, Travaglio, Fabozzi è obbligatorio restare nell’alveo dell’opinione omogenea del loro gruppo.