lunedì 14 luglio 2008

Nino non aver paura di tirare quel calcio di rigore


Marta, via Facebook, mi ha chiesto come faccio a scrivere in questo blog cose intime, generalmente riservate. Non so come, lo faccio e basta. Mi viene spontaneo e naturale. Poi, ripensandoci, mentre l'altra sera ho fatto un salto dagli amici del "Como blog beer", parlando con Valentina, mi si è accesa una lampadina e ho rivisto questo blog come dall'alto, come invece di solito non succede. Non post dopo post, ma tutto quanto insieme, nella direzione che ha preso e nella forma conseguente: un diario. Un vero diario, uno di quelli che sulla carta non sono mai riuscito a tenere. E ho pensato a me stesso tra dieci anni, mentre lo rileggo e posso rimettere in sequenza i miei passi semplicemente seguendo le impronte che ho lasciato. E ho pensato ai miei amici che potranno fare lo stesso e ricordare chi sono, e agli estranei, che potranno capirlo, e ai miei figli, ai miei nipoti, a cui non avrò soltanto storie da raccontare, bensì potranno scoprire ciò che sono adesso, hic et nunc, qui ed ora. E scoprendo me potranno scoprire anche loro. Lo dico a Giacomo, a mio figlio Giacomo, di 11 anni, che da ieri è partito per la prima vacanza lontano da casa e oggi ci ha già chiamato sei volte, le ultime singhiozzando, perché ha paura la notte e ieri non ha dormito e non vuole che andiamo a prenderlo, ma se lo facessimo sarebbe il bambino più felice del mondo. Non lo faremo, perché è in un posto fidato, con i suoi compagni di scuola, della squadra di calcio. Non lo faremo, perché volergli bene non vuol dire solo tenerlo stretto a sé, bensì aiutarlo a diventare grande, a camminare da solo. Non lo faremo, ma ci si spezza il cuore a pensarlo distante, senza sapere se l'angoscia che aveva gli è passata o se nel suo letto è ancora sveglio, col magone che in gola è un groppo. Lo scrivo adesso, ma avendo per interlocutore immaginario quel Giacomo che quando leggerà queste parole sarà un giovanotto o addirittura un uomo fatto e finito. Perché se gli sembrerà di poter tenere in pugno il mondo, non dimentichi il bambino che è stato e abbia buona memoria anche di suo padre, che in una notte di temporali di luglio, gli era vicino, pur se lontano.

Foto by Leonora

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Io, forse a differenza di altri, adoro questi post.. riesci sempre a commuovermi.
Mentre leggo mi sembra di percepire il tuo stato d'animo di quei momenti.
Bello. grazie
Fede

roberta ha detto...

anche a noi e' capitato con Alberto lontano per una settimana e una sola telefonata di "crisi". Ma quanto e' pesata quella telefonata...
La consolazione per noi genitori e' venuta poi, quando stava per tornare a casa, e alla domanda se era contento di tornare Alberto ha risposto: "così, così". Lasciarli andare e' sempre difficile....

Unknown ha detto...

Ricordo di averti fatto una domanda molto simile a quella di Marta molti mesi fa quando pubblicasti una lettera di un tuo caro amico.
E ricordo che tu allora dicesti che era stato il tuo modo per raccontare l'essenza di un vero rapporto di amicizia: parlavi quindi di una disponibilità alla condivisione che mi aveva colpito molto allora e mi colpisce molto tutt'ora.
E più il tempo passa più mi sembra di capire il senso di tutto ciò :-)

Giorgio ha detto...

@ Fede: Grazie!
@ Roberta: Sono lieto di condividere questi momenti con te. Giacomo cmq fa le cose per bene: invece di una telefonata di "crisi", ne ha già fatte una dozzina. Speriamo che gli passi in fretta...
@ Luisa: quella disponibilità alla condivisione esiste tutt'ora. E al Barozzo (che sarebbe poi casa mia) dobbiamo assolutamente trovarci presto, per dare una dimensione "fisica" a questo benedetto senso :-)

valentina orsucci ha detto...

Sei una meraviglia.