martedì 16 febbraio 2010

Questo è un uomo


Lungo è l'inverno. E freddo. Quest'anno più del solito, mi pare non abbia mai fine, in giardino c'è sempre neve e per quanto mi copra avverto gelo dentro. Non vedo l'ora di sentire il tepore di un sole vero, di tornare sul terrazzo, guardare il cielo la sera e vedere le foglie sugli alberi, mangiare all'aperto e restare in silenzio, ascoltando la natura che fa chiasso tutt'attorno. Pensieri che non avevo da bambino: dev'essere l'età che mi rende nostalgico. Anche stanotte non riesco a dormire. Mi capita da una settimana almeno, di svegliarmi nel cuore della notte e di non prendere sonno per un'ora, due. Però non è la veglia agitata dei tempi grami, quando mio padre era malato o al lavoro mi sentivo stretto e sulle spalle sentivo un peso, un cruccio. E' tempo quieto, questo, ma mi sveglio lo stesso, come se non conoscessi pace del tutto, come se il ribollire dei pensieri fosse condizione abituale, quasi un'urgenza di vita, di non sprecare attimi, consapevolezza di esistere davvero, senza abbandonarsi al sogno. Che sciocco. E' così bello sognare. Ma la ragione non accetta facilmente la condizione naturale, il primato dell'istinto. Così oggi, a differenza degli altri giorni, ho vinto la pigrizia e mi sono alzato, stanco di rigirarmi inutilmente nel letto e assecondando la molla che ha innescato il mettersi in moto. Ieri sera ho letto quasi per intero "La notte", un libretto di Elie Wiesel, che racconta lo sterminio del popolo ebraico e la sua personale esperienza, in campo di concentramento, ad Auschwitz, Buna, Birkenau. Mi ha fatto male dentro, facendo il paio con la visione del film "Il bambino con il pigiama a righe", che trattava il medesimo argomento e insieme ad Isabella e ai bambini abbiamo visto una settimana fa. E' un film poetico e crudo insieme e ho insistito perché Giacomo, Giorgia e persino Giovanni lo vedessero. Il male merita di essere conosciuto, un modo perchè - pur rimanendo senza senso - non sia passato invano. Non mi si venga a dire che è duro, che sono piccoli e sarebbe meglio risparmiargli finché sono più grandi l'orrore di quanto accaduto: avevano la loro età e anche meno migliaia di bambini caricati come bestie sui vagoni del treno, separati da fratelli e genitori, spogliati, uccisi, bruciati e diventati fumo in un camino. Farne memoria è il minimo. Quando è finito, ne abbiamo parlato due minuti e prima di mandarli a letto ho preso dallo scaffale il libro di Primo Levi, per leggere loro le parole magnifiche e terribili scritte in principio di "Se questo è un uomo". Non sono riuscito però, mi veniva il magone e pur se le avevo lette mille volte almeno, per la commozione il fiato non mi usciva dalla gola. Le ha lette Giacomo, per tutti, ma non mi sono vergognato della debolezza mostrata in quel momento, del silenzio strozzato di un adulto. Forse non era casuale, forse era un segno: ogni adulto dopotutto porta nella coscienza le stigmate dello scempio, anche se a quell'epoca non era nato, anche se non ha fatto nulla di concreto, e solo un bambino ha l'innocenza, la purezza di cuore per pronunciare quelle parole senza esserne schiacciato dal peso.
Foto by Leonora

3 commenti:

Miranda ha detto...

Sono cresciuta nella zona che a quel tempo fu attraversata dalla cosiddetta linea gotica. Qui si scontrarono a lungo truppe alleate, partigiani e tedeschi, e per questo la popolazione inerte subì la violenza di rastrellamenti, deportazioni, eccidi, torture, bombardamenti. Qui nessuna famiglia restò senza vittime. Alcuni persero tutto: genitori, fratelli, casa e speranza. Per questo sono cresciuta ascoltando molti racconti di quel periodo; storie di fame, guerra, paura, vendette incrociate, ma anche di solidarietà, di mutuo soccorso, di voglia di tornare a vivere e di pietà umana proprio là dove ci si sarebbe aspettati solo crudeltà. Ricordi dolorosi, crudi, violenti, che raccontavano di ferite ancora aperte, ancora, e forse per sempre, sanguinanti. Quei racconti mi hanno commosso, impaurito, lasciato senza parole e segnato per sempre. Li porto dentro di me, con il loro carico di dolore, di disperazione, di incredulità. Fanno parte di ciò che sono, pilastri portanti della mia identità; descrivono l'orizzonte delle mie opinioni, delle mie priorità, delle mie scelte.
Oggi sento, da un lato, la responsabilità di quella pesante eredità e la necessità di mantenere viva la memoria, dall'altro, la difficoltà di trovare le parole per trasmettere a mio figlio, come in una sorta di staffetta della memoria, il testimone di quei ricordi.
So che dovrei, ma ancora non sono riuscita. Ne vivo in pieno il senso di colpa. Ma il bisogno materno di proteggerlo mi spinge a nascondergli quanto il mondo possa esser brutto e quanta crudeltà inutile l'uomo possa arrivare ad esprimere. A questo riguardo tu mi sembri più bravo, più determinato di me. Forse iniziare con un film potrebbe essere una buona idea...

silvia ha detto...

"E' tempo quieto, questo, ma mi sveglio lo stesso, come se non conoscessi pace del tutto, come se il ribollire dei pensieri fosse condizione abituale, quasi un'urgenza di vita.." Giorgio, da stanotte la mia insonnia si identificherà con le tue bellissime parole. Il ribollire dei pensieri... è proprio così!
Io sto leggendo "diario di Gusen"
Mia figlia a scuola imparò a memoria la poesia di "Se questo è un uomo" e ne rimase così colpita che tuttora ogni tanto la ripete.
Una poesia vera e terribile.
Sono completamente d'accordo con l'idea di non nascondere a tutti i costi il male ai piccoli, devono imparare a riconoscerlo per affrontarlo.

Wilma ha detto...

Sono appena tornata dal cinema, ho visto "L'uomo che verrà", storia dell'eccidio di Marzabotto. Mi sento vuota dentro. Sei stato davvero bravo a saper condividere, con la consapevolezza dell'importanza di condividere...