mercoledì 11 settembre 2013

Gli occhi degli altri

Foto by Leonora
Quanti sbagli, quante meschinerie eviterei se solo guardassi a me stesso con gli occhi con cui osservo gli altri. L'ho scritto così, sinteticamente, un paio di giorni fa. Ci torno sopra ora, per spiegarmi meglio, per condividere una riflessione fatta su due piedi, vedendo una coppia che discuteva animatamente in mezzo alla strada. Quanta pena nell'essere spettatore di quella scena, quanto disagio nell'impotenza di non mettere becco tra un uomo e una donna che, pur senza passare la soglia della violenza fisica e neppure verbale, manifestavano senza pudore la rabbia, il rancore dell'uno verso l'altro.
Non è la prima volta che succede, spesso capita quando di mezzo ci vanno i bambini, rimproverati, spaventati, sballottati in nome di un'educazione corretta, giusta, sacrosanta.
"Perché lo fanno?" è la domanda che mi pongo io, dall'alto del muro che li divide, osservatore distaccato ma non disinteressato, sgomento nell'assistere a una reazione così prepotente per un motivo che visto al di sopra delle barriere divisorie appare minuscolo, superabile, banale persino.
Invece no, attorno a quell'appiglio si attorciglia l'edera dell'incomprensione, affonda le radici l'indignazione, la rabbia. Chi ragiona a senso unico non può comprendere come sia possibile e si limita al biasimo. Io tuttavia so che non di rado dalla parte del rompiscatole, dell'irriducibile caparbio, c'è il sottoscritto, incapace di tendere la mano per fare la pace e neppure dotato di quella sensibilità intelligente che si traduce nel rimandare a un tempo più propizio la discussione, pur senza tralasciare nulla.
E' capitato che con Isabella, pur essendo in pubblico (e per pubblico intendo in mezzo la gente, anche se non in compagnia di amici), il tono della voce si sia fatto aspro, alto, o che la mia parte offesa, invece di "essere tagliata" - come suggeriva ironicamente mio padre: "Ti sei offeso? Taglia via la parte offesa" - fosse esaltata, tenuta in gran conto. E lo stesso vale per i figli, per Giacomo, Giorgia, Giovanni, che quando mi fanno arrabbiare non hanno un padre quieto, pacato, tollerante, bensì una furia, soprattutto se il fatto in sé si somma alle tensioni di giornata, alle preoccupazioni contingenti, al nervosismo. Eppure quel Giorgio gretto è il medesimo Giorgio che a vedere gli altri comportarsi così resta basito, sconcertato.
Misteri della natura umana o debolezze dell'individuo, che indossa i panni del dottor Jeckyll ma ha sempre la biancheria di un mister Hyde sotto il vestito.

1 commento:

Ivana Castoldi ha detto...

Anche a me in questi giorni sta capitando la stessa cosa.
Perchè si litiga? Perchè dall'altra parte ci si fissa,si è troppo pieni di sè,non si cerca di andare incontro all'altro ...
Eppure si potrebbe essere felici insieme ...
Mettendo in pratica un antico saggio " Non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facessero a te " .