martedì 7 luglio 2020

La stagione della farfalla (Attesa e pazienza)

Abbiamo smarrito la virtù della pazienza. Ed è un paradosso, nell'era in cui l’essere umano può vivere mediamente più a lungo di quanto sia mai riuscito. 
Ci manca pazienza con i figli, che desideriamo già grandi subito.
Ci manca pazienza con le verdure dell’orto, che vorremmo mature presto, comprandole anche fuori stagione al supermercato.
Ci manca pazienza nel lavoro, dove pretendiamo risultati immediati e ragionare in termini di lustri o decenni sembra un abominio.
Ci manca la pazienza di piantare alberi, di costruire cattedrali, di immaginare una società che abbia fiato lungo e prosperi per le generazioni che seguiranno.
Ci manca la pazienza di attendere il perdono, di accettare il mistero, di mettersi di impegno per sanare un torto.
Ci manca la pazienza del corteggiamento, dell’attesa di un bacio, dell’intimità di un rapporto.
Ci manca la pazienza di tollerare gli errori, di comprendere le ragioni, di convincere l’altro o di farci convincere, nel caso.
Ci manca la pazienza di arrivare in fondo a un libro, a un post, a un articolo.
Ci manca la pazienza un po' su tutto.
Viviamo la stagione breve della farfalla, senza la sua leggerezza.
Abbiamo più tempo, ci sembra sempre meno.
Ignoriamo la meta e nel mentre non ci gustiamo neppure il viaggio.
La buona notizia è che la pazienza non è un dono riservato a pochi: si può trovare, coltivare, costruire, pian piano. Con pazienza appunto.

P.S. Questo, come gli altri, è un post scritto innanzi tutto per me stesso, che sono il primo a non avere pazienza, a pretendere tutto e subito. Le lezioni migliori le prendo dai miei figli, che premiamo le attese concesse loro e puniscono le impazienze che ho avuto. Così guardo con orgoglio Giacomo che mangia le zucchine, Giovanni che apprezza la pallacanestro, Giorgia che si interessa di politica, Kadir che guarda film in inglese, mentre ancora aspetto il giorno in cui mi chiederanno di tornare in un museo, dopo che quando erano piccoli li ho tenuti per sei ore agli Uffizi di Firenze, sperando di infondere precocemente l'amore per l'arte e ottenendo invece una noia mortale, da cui non si devono essere ancora ripresi del tutto.

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