venerdì 11 novembre 2022

Decidi tu (Cinquant'anni qua)

Mi manca tutto di te. I gesti, ancor più delle parole.
Conosco il modo in cui pensavi, di ragionare, pure le increspature, le ossidazioni, le gabbie mentali figlie del tuo tempo, della storia, del tondo in cui sei nato o cresciuto.
Posso evocarli e attualizzarli, contestualizzarli al bisogno, con margine di errore in superficie, non all’osso.
I gesti invece, le abilità, la sapienza del fare, dei tuoi molti mestieri, è un vuoto che stride e urla e rode e grava: so che non si potrà colmare, ho consapevolezza piena di un patrimonio svanito, per sempre, perduto.
Mettere a dimora un albero, piantare un chiodo, riparare un guasto, intrecciare corde, stringere un nodo, alzare un peso, oleare un giunto, avviare un motore, manutenere un macchinario, vangare l’orto, sistemare tegole e coppi del tetto, cambiare una gomma, accudire animali, impilare mattoni, tagliare la legna, impastare sabbia e cemento…
Ho scarsa abilità tramandata, ma memoria su tutto, anche per la scelta di abitare nella casa che con le tue mani hai costruito e che respira ancora di te, in ogni angolo.
Oggi, proprio oggi, nel giorno di San Martino, esattamente cinquant’anni fa, entrammo per trascorrerci la prima notte, pur se non c’erano ancora porte e finestre e per riparare dal freddo avevi messo dei cellophane, alzando al massimo il riscaldamento, con il gasolio che allora costava pochi centesimi, niente rispetto adesso.
Prendermene cura e mantenerla almeno per un’altra generazione è la promessa che ti ho fatto la sera prima che lasciassi questo mondo.
Anche in quel momento hai saputo darmi esempio della tua lezione più importante, quella della libertà di scelta, dell’assenza di vincolo, chiudendo gli occhi, prima di iniziare a parlare, a tuo modo, e poi dicendo, con voce bassa, piana: “Non importa. Decidi tu. Io sono contento così”.
In quelle otto parole e l’accenno di un sorriso sta tutto il tuo testamento, il lascito di un uomo qualunque, per fortuna non esente da difetti, per me, soltanto per me, unico.

P.S. Questa non è una storia triste. Nessuna lo è, se ti riguarda. La sofferenza per la malattia, negli anni in cui ci hai convissuto, ha temprato il carattere e reso meno urticante l’ineluttabile distacco.
È una ruota che gira. Lo ripetevi spesso tu, è vero in generale e anche nello specifico.
Avrai piacere perciò nel sapere che sono andato avanti e procedo tuttora, ricordando con dolcezza il passato, ma senza aggrapparmici, cosciente che il futuro non è mai alle nostre spalle ed è giusto che siano altre generazioni a incontrarlo, comprenderlo, costruirlo, con altre abilità, spero però lo stesso stile del buono che hai lasciato.

Nessun commento: