Ieri l'altro discutevo di felicità e della ricerca che se ne fa, che se ne deve fare, anzi, se felici si vuole essere. Felicità non come dono che si ottiene una volta per tutte (Primo Levi in un suo libro - per spiegare come è potuto sopravvivere alla tragedia dei campi di sterminio - sosteneva che non esiste una perfetta infelicità, così come parimenti non è possibile una felicità perfetta, dove per perfetta io ho sempre inteso "totale, totalizzante"). Felicità insomma come punto di equilibrio, come stato d'animo da cui derivano sentimenti positivi, quali la gioia, la serenità, la pace, la quiete, un sensazione di appagamento, di pienezza, di soddisfazione. Proprio essendo un punto di equilibrio, non sempre si trova ed è per questo che la si deve continuamente cercare. Se penso a me stesso, credo di cercarla in due modi: abbassando la soglia di desiderio materiale (se ci si accontenta di ciò che si ha, che si può avere, è più facile non sentirsi insoddisfatti e quindi infelici) e guardando sempre al lato positivo delle cose, al bicchiere mezzo pieno, alle opportunità che scaturiscono in contemporanea ad ogni difficoltà. Nel primo caso cerco di ricordare la lezione di Diogene il Cinico (cinico sì, ma saggio) che si era abituato a sopravvivere con un piatto di lenticchie al giorno e non gli pesava affatto non poter banchettare ai quattro palmenti come facevano alcuni suoi contemporanei, servi però di un padrone. Nel secondo caso mi sforzo di trovare il lato buono delle cose, non perché io sia migliore di altri, bensì per una convenienza assai più egoistica, perché so che così vivo meglio.
P.S. Scrivo queste cose, non come lezione da impartire, bensì come pro memoria per me stesso, per tutte le volte che nonostante ora mi sia chiaro cosa fare, poi nel concreto smarrisco strada e direzione.
Foto by Leonora
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