mercoledì 10 marzo 2010

Il seme sotto la neve


Guardo dalla finestra. Cielo grigio, distese bianche, alberi dritti e spogli, fittissimi fiocchi di neve, fini come chicchi di riso: sembra una pagina di Tolstoj. Non ho mai amato gli scrittori russi, i paesaggi sì. Specialmente se scrutati da un vetro, seduti al caldo, su un divano, mentre in cucina bolle l'acqua per il e ho tra le mani un libro. Sono pigro, viaggio poco, se non nei mondi di carta, che hanno il vantaggio di spostarti nello spazio, ma anche nel tempo. Ieri l'altro leggevo della rivoluzione culturale cinese, delle privazioni a cui molti giovani furono costretti e si costrinsero. Ho sottolineato tre righe, in cui si descriveva la fame patita e una condizione ben peggiore di quella dei padri e delle madri che li avevano messi al mondo. Ci sono ovvietà di cui mi rendo conto soltanto nell'istante in cui mi balzano agli occhi, pur avendole sempre avute sotto il naso. Una di queste è l'inesattezza del principio di linea retta, secondo cui i figli siano destinati a vivere meglio dei genitori o che, più in generale, una generazione non stia mai peggio di quelle che l'hanno preceduta. Appartengo a una famiglia i cui nonni hanno affrontato la miseria della guerra e padre e madre sono cresciuti con poco grasso, insegnando anche a me il valore del risparmio, dell'essere parsimoniosi, senza farsi mancare nulla di sostanziale, ma badando a tenere da conto, senza sciupare o dilapidare ciò che alle braccia e alla fronte è costato sudore, sacrificio. Ai miei figli non manca nulla, hanno ben più di quanto fosse concesso a me stesso da piccolo e, per quanto mi sforzi di insegnare loro le stesse cose che ho imparato io, mi rendo conto ch'è come svuotare il mare con un cucchiaino. Spero che il destino non riservi una discesa, ma al tempo stesso so che non posso far nulla per impedirlo del tutto. Confido nella buona sorte e più ancora nello spirito di adattamento dell'essere umano, che - come ho già scritto - nell'abbondanza non sa godere appieno della felicità ma per lo stesso motivo non conosce tristezza assoluta quand'è nello stento. Le ristrettezze, anzi, possono a volte essere un beneficio. Credo sia l'ultima delle tre regole di lavoro di Einstein: "Nel pieno delle difficoltà esiste l'occasione favorevole". Quante volte me lo sono ripetuto, quando il mio posto m'era stretto o avevo un peso greve che mi spezzava il fiato. Anche allora le parole altrui mi tenevano compagnia: non sarò mai ad esse abbastanza grato.

1 commento:

Luciana Bianchi Cavalleri ha detto...

Molto vero, ponderato e saggio - assai condivisibile.
(Sempre un piacere, leggerti)

luciana - comoinpoesia