Gli amici mi perdoneranno se l'argomento è ancora il mio lavoro (se non vi va, posso sempre parlare dell'orto: mercoledì ho vangato tutto il giorno e potrei tediarvi per ore con le sinapsi mentali prodotte dal cervello per distrarsi dai dolori del badile dal palmo della mano fino al più remoto nervo). Masochisti a parte, credo di avervi convinto. Vai di giornalismo. Ieri infatti ho avuto la fortuna di trascorrere la giornata ideale del giornalista, come l'ho sempre immaginato. Ve la racconto in breve. Sveglia molto tardi, all'approssimarsi del mezzogiorno. In redazione alle due, con le pagine già impostate e l'unica incombenza di dare qualche tocco qua e là, fare "cucina", come si dice in termine tecnico, cioè impaginare i pezzi, mettere foto, titoli, occhiello, sommario e catenaccio, oltre alla stesura di un commento. Alle sette, visto il clima tranquillo, libera uscita e fatti propri per un'ora e mezza, approfittandone per andare a vedere la partita di pallone di mio figlio Giacomo. Ritorno in redazione, altri titoli da mettere, bozzini da correggere, "visto si stampi" e poi, appena passate le dieci, saluto e discesa in città, dove mi aspettavano Nicola e Antonella, prima in un locale, per aperitivo, poi in un altro, secondo aperitivo. Alle undici e quaranta, pizzeria. Seduti attorno a un tavolo, ad aspettare i colleghi che facevano chiusura, tipografia compresa. Gran risate, chiacchiere, ricordi. E poi via, tutti a casa, che le due erano già suonate da un pezzo. Lillo, che è più giovane di me di qualche mese, ma in questo mestiere è assai più vecchio, prima di salutarmi mi ha detto: "Per quindici anni la mia vita è stata così, ora non ce la farei più, ma non me ne pento". A me la vita ha riservato altro, fino al 2008 non ho mai lavorato in un giornale, fino a trent'anni suonati non ero neppure giornalista e negli ultimi dieci non ho saltato un giorno che sia un giorno in redazione senza tornare a casa stanco, cotto. Pensare che sono cresciuto con il mito di Lou Grant e, ancor di più, del papà dei Bradford, che nel telefilm passava un sacco di tempo a casa e per campare gli bastava scrivere un pezzo di trenta righe al giorno. Da ragazzo, collaborando a periodici minori, ho incontrato chi lavorava a La Provincia e che faceva la vita che prima ho descritto. Ora non la fa più nessuno, almeno a Como, e non sono tanto nostalgico né così stupido da rimpiangere ciò che non è stato. Però sono grato a Nicola e a Lillo che, per un giorno, mi hanno permesso di provarlo. E così oggi, che i ritmi sono tornati i soliti, da mattina a sera tardi, testa bassa e concentrato tosto, ho sentito meno la stanchezza, non smarrendo il sorriso. Perché anche se i tempi di Barzini Junior e del suo "sempre meglio che lavorare" sono distanti, il nostro rimane un bel mestiere. Per dire: vangare tutto il giorno è peggio.
Foto by Leonora
1 commento:
Che fine hai fatto?
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