domenica 29 aprile 2012

La primavera di Anna (abbracciando Franco e Alessandro Corrado)

Foto by Leonora
Il faggio si sta vestendo a festa ed è uno sbocciare che assomiglia a un botto: ieri era spoglio, domani sarà uno splendore di foglie verdoline e tenere (che in pochi giorni diventeranno scure e coriacee). Un piccolo miracolo che mi riconcilia con la vita, in una settimana spezzata in due dal dolore per una persona cara, che in ventun giorni ha lasciato tutti noi, ma soprattutto la sua famiglia. Anna Maria Derelli era la moglie di un amico. Di più, d'un secondo padre per me: Franco Corrado. Una donna elegante, seria, di poche chiacchiere e zero di quei sorrisi dispensati per un nulla. Si chiamava Anna, come mia madre e come mia madre era nata nel '40, in principio della guerra. Meno d'un mese fa pareva avesse dei calcoli, ma quando il medico l'ha mandata da un suo collega, un luminare, il sospetto che ci fosse dell'altro ha turbato i sonni che precedevano la visita. Ci ha raccontato il marito che alla prima diagnosi, pur se il dottore s'era espresso con somma prudenza, lei aveva compreso subito, prima di tutti gli altri, cosa gli capitava. "Lei crede in Dio?" ha domandato al professore. "Cosa c'entra?" s'è sentita rispondere, inducendola ad aggiungere: "No, non dubito della sua abilità, però a questo punto sono nelle mani di Dio e io credo molto in Santa Rita", poi, in silenzio, ha abbassato le palpebre e per un lunghissimo istante è rimasta così, finché lo stesso medico s'è sentito in dovere di aggiungere: "Ma signora, non faccia così, è soltanto un'operazione, non pianga". E' stato in quel momento, tornandolo a guardare dritto, che lei ha risposto: "Non sto piangendo dottore. L'ho fatto pochissime volte in vita mia. Ho solo chiuso gli occhi, pensando che l'unica cosa che mi dispiace è di non poter veder crescere la mia Barbara". La nipotina. Sorella di Luca, figlia di Alessandro, a suo volta figlio di Franco e Anna.
Franco Corrado mi ha raccontato queste cose con una tranquillità speculare al dolore, calmo e posato come l'ho sempre visto, perfettamente rasato, profumato, vestito elegante. "Mi sono alzato stamattina alle cinque - mi ha detto - e ho fatto tutto come se ci fosse ancora lei, perché so che così voleva. Pensa che mi ha lasciato sei cravatte già con il nodo fatto e i vestiti da mettere. Ha preparato anche la sua ultima partenza". Volevo abbracciarlo, dirgli che mi dispiaceva, che gli ero vicino. Non c'è stato bisogno: anche senza dirlo, lui lo sapeva. Lo sa.
Anche con Alessandro ho parlato qualche minuto e mi ha commosso anch'egli, raccontandomi delle ultime parole che ha scambiato con la madre, poco prima che morisse, proprio come ho fatto io con mio papà. Un sciogliere i nodi che allevia la lacerazione del distacco, che mette pace dove prima era angoscia, sassi a punta sotto i piedi, bufera.
Lo scrivo qui, perché voglio conservarne memoria, esattamente come per il faggio, che ogni autunno muore e a primavera risorge, ribollendo chioma. In attesa che venga primavera anche per Anna, per mio padre, per tutte le persone con cui ci siamo salutati un'ultima volta e per quelle che saluteremo, quando verrà il nostro autunno e saranno altri ad attendere, per noi, primavera.

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