domenica 29 aprile 2012

La tua felicità è la mia (dividendola si moltiplica)

L'ho letta un paio di giorni fa, dipinta su un muro, ma ero certo di essermela appuntata anch'io e infatti l'ho ritrovata, in uno dei sette pensieri scritti nel marzo del 2009. "Happiness is real only when shared". La felicità è autentica soltanto se è condivisa.
Mi frulla in testa in questi giorni di ponte, in cui prenderò il giorno di vacanza che ho rimandato a Natale e che potrebbero essere serenissimi se altri cieli, accanto al mio, non fossero scuri di nubi e tempesta. Troppe le storie di crisi, i nomi, i cognomi, i volti delle persone che conosco, a cui voglio bene, e che hanno perso in questi mesi il lavoro, senza trovarne un altro, dovendo fare i conti sapendo che non tornano. Anche ieri, mentre eravamo a pranzo, ho saputo che il papà di un'amica di Giulia è stato lasciato a casa. Facevano già i salti mortali prima, immagino, visto che aveva un impiego lui solo e ora immagino con che peso andranno a letto, sapendo che il buco della cintura è sempre più stretto. Chiudo gli occhi, ripenso a quanti conosco e che sono in qualche modo in mezzo al guado. Chi non viene pagato da tre mesi, chi non prende i soldi della merce che ha venduto l'anno scorso, chi è in cassa integrazione, chi è stato lasciato a casa dall'oggi al domani e punto. Ripenso alla fortuna che ho, nell'avere un buon posto, ben retribuito (senza contare ciò che più conta, cioè l'essere apprezzato). E' vero, da quando ho cominciato questo mestiere ci sono stati alti e bassi e i bassi hanno sfiorato il logoramento, quando mi sentivo stretto in gabbia, soffocato. Però a fine mese lo stipendio veniva accreditato e anche se non era da nababbo (sui mille e seicento euro al mese) mi consentiva di vivere sereno. Ora, ho saputo dai miei ex colleghi della tv, la situazione è grigia anche lì e tra contratti di solidarietà, ferie forzate e cassa integrazione si barcamenano, sperando in tempi migliori e cercando di non andare tutti a fondo. E io mi sento piccino piccino al loro confronto, quasi non meritassi tanta fortuna, pur se so che è una ruota che gira e per quanto posso restare in equilibrio, ad ogni alto corrisponde sempre un basso: è solo questione di tempo.
Seguendo i miei pensieri sono uscito dal solco che avevo all'inizio tracciato. Ci torno svelto, per dire che non esiste godimento pieno dei propri privilegi e tanto meno felicità se le persone che dicevo prima, quelle che conosco, a cui voglio bene, non lo sono altrettanto. Non è un caso se i politici del dopo guerra hanno attuato politiche di redistribuzione del reddito. Una scelta egoistica più di quanto appaia all'occhio disattento. Anche il ricco, infatti, trae beneficio da una società dove la differenza tra lui e il povero non è abissale, non crea un varco insormontabile, profondissimo. Avere milioni di dollari o di euro ed essere costretto a girare con la scorta o ad abitare in villaggi protetti da guardie armate fino ai denti (come avviene in molti paesi del terzo e anche del secondo mondo - perché anche se nessuno lo definisce mai un "secondo mondo" deve pur esistere visto che c'è il terzo mondo e anche il quarto) è meno allettante rispetto ad avere in banca un conto più striminzito ma poter girare sicuri, non essere definiti soltanto come un bersaglio. Come ben sapeva Christopher McCandless, la felicità è autentica soltanto se è condivisa. Lo stesso mi pare valga per la fortuna, per il lavoro, per la ricchezza: solo dividendole si moltiplicano.

Foto by Leonora

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