Foto by Leonora |
Le mura sono le stesse di allora ma molto è cambiato, interpretando i tempi e marcando le differenze con il mondo rurale in cui i miei genitori sono cresciuti e che è scomparso da un pezzo. Mio padre poi non c'è più e con lui, oltre alle braccia che l'avevano creata, se n'è andato lo spirito autentico, quel bisogno di avere un posto tutto per sé, dove se vuoi mettere un chiodo nella parete nessuno può impedirtelo. Un orgoglio che io mantengo, perché l'ho vissuto sulla mia pelle, che mi ha marchiato a fuoco, ma capisco di essere comunque anni luci distante dall'ostinazione, dalla caparbietà che aveva lui, uomo di un'altra stoffa e di un altro tempo. Una determinazione che i miei figli - lo so - avranno ancor più diluita e i figli dei miei figli probabilmente neppure avvertiranno ed è per questo che due giorni prima di morire, in uno di quei dialoghi che abbiamo avuto la fortuna di avere e in cui ci siamo detti tutto l'essenziale che c'era da dirsi, con lui sono stato onesto: "Papà, lo sai che ti ho visto tirar su questa casa, conosco i sacrifici che hai fatto e quanto ci tieni anche se adesso non sembra importarti di nulla perché tutto sembra perso, ma voglio prometterti lo stesso che finché ci sarò io farò di tutto per tenerla, perché non sia sciupato ciò che hai fatto. Ed è una cosa che cercherò di far capire anche a Giacomo, Giorgia, Giovanni, anche se, lo sai, non posso assicurarti che lo faranno, e poi accada quel che accada, perché tanto in eterno non dura nessuno". Lui sorrise. Non un sorriso amaro, un sorriso disteso. "Và ben". Va bene, disse, in dialetto. Lo considerai un testamento.
Tra le molte cose di cui mi sono pentito, invece, c'è la pigrizia con cui me ne occupai quando lui era in vita. Ero più giovane, pensavo ad altro e soprattutto pagai il carattere tendente al rimando. Quante volte, in questi cinque anni, ho sistemato qualcosa (il tetto del garage, la recinzione, l'aggiunta di un nuovo pezzo di prato, il cancello elettrico...) rimpiangendo di non averlo fatto prima, quando lui ancora c'era e avrebbe potuto vedere, sapere che anche senza di lui ce la saremmo cavata, avremmo migliorato le cose e non fatto andare in malora tutto. La cosa di cui andrebbe più fiero sono le tredici tessere di ceramica con altrettante lettere dell'alfabeto che abbiamo incollato all'entrata, accanto al cancello. C'è scritto "Casa Bardaglio" e in due parole è detto tutto.
2 commenti:
Quelli descritti sono valori,ma il valore maggiore è il dialogo che si instaura col propriogenitore.Quando con questo si acquista la fiducia reciproca e l'affiatamento tutto diventa più facile.Il fatto poi di conservare i beni lasciati dai propri cari è una cosa che può anche non riuscire per tanti fattori,come l'accordo che si ha con gli altri della famiglia.Ma quello che si deve conservare è l'mpronta lasciata nel nostro intimo da chi ci ha dato la vita e ci ha permesso di viverla.
Di tutti gli articoli ed i post che ho avuto occasione di leggere (e che frequento spesso), questo è il tuo scritto che più mi ha commosso.
Lo sento profondamente anche "mio" e lo condivido dalla prima all'ultima parola, lo vivo giorno per giorno ed anno per anno con la medesima convinzione, in una situazione non molto dissimile.
Oneri, tasse, obblighi, balzelli ed IMU non rendono certo facile la vita... ma sappiamo ed abbiamo nel cuore la consapevolezza di avere un debito di riconoscenza, nei confronti di chi ha superato ben altre difficoltà per riuscire a costruire ciò che ora è nelle nostre mani. E fa profondamente parte, di noi.
(I nostri due padri, ne sono certa, da lassù sorrideranno - e forse, troveranno ancora ed anche il modo di aiutare - chissà...)
luciana (comoinpoesia.com)
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