domenica 11 novembre 2012

Gocciole d'abbondanza e fabbriche d'infelicità

Foto by Leonora
Prima che il giorno dilegui e pioggia si aggiunga alla pioggia, appunto qui un pensiero che m'è venuto stasera, guardando Giovanni che cinque giorni fa ha compiuto dieci anni ed è uno splendido bimbo, anche se forse con troppe Gocciole in corpo ("Papà, non è colpa mia se sono così buone. E poi con le Gocciole puoi vincere un'iPad 3. Magari lo vinciamo!" mi dice, quando lo guardo con fare di rimprovero). Dieci anni. A dieci anni suo prozio, lo zio Emilio, classe 1924, entrò per la prima volta in fabbrica, un officina di fabbro, dove cominciò a lavorare dalle sette del mattino alle sei di sera. Dieci anni. Mio padre fu più fortunato, cominciò ad undici, così come il fratello di mia mamma, lo zio Gianni, spedito in vetreria per nove ore al giorno a smerigliare bicchieri e vasi di cristallo nell'acqua gelata. Non pensavano all'iPad3 e men che meno si sognavano le Gocciole: era già una fortuna se a cena, insieme al caffèlatte, c'era del pane o una fetta di polenta.
Come faccio a spiegarlo ora a Giovanni, come posso immaginare io stesso che un bimbo così piccolo possa esser trattato da schiavo più ancora che da operaio? Eppure non sono passati secoli: sessant'anni appena, una generazione sì e no. A questo penso quando leggo della crisi, che durerà forse fino al 2017 e cambierà nel profondo la nostra società, il nostro stile di vita: saremo tutti più poveri, senza sicurezza alcuna. Senza sicurezza, ma comunque anni luce avanti alla miseria di una nazione intera, sessant'anni prima. E se ce l'hanno fatta loro, se non si sono spezzati le ossa, uscendone anzi rafforzati, perché non dovremmo farcela noi, perché dovrebbe essere tutto nero ciò che ci aspetta? L'unico pericolo è che sprofondino soltanto alcuni mentre altri rimangono a galla, evidenziando disparità che alla fine lacerano una comunità e fanno da premessa alla tragedia. Sessant'anni fa c'erano sì i ricchi, ma la netta maggioranza delle persone viveva una condizione comune di indigenza e accettare il poco era scontato, così come la consapevolezza che soltanto unendo le forze si poteva crescere e migliorare le condizioni di vita. Oggi il privilegio è la normalità e sarà più difficile adeguarsi al ribasso, però potrebbe non esserci alternativa. Tanto vale allora ricordare da dove siamo partiti e cominciare ad accettare il principio che qualche rinuncia nella nostra condizione di benessere è comunque poca cosa se rapportato a chi davvero a questo mondo non ha nulla e a dieci, undici anni viene spedito in fabbrica.

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