Foto by Leonora |
Come faccio a spiegarlo ora a Giovanni, come posso immaginare io stesso che un bimbo così piccolo possa esser trattato da schiavo più ancora che da operaio? Eppure non sono passati secoli: sessant'anni appena, una generazione sì e no. A questo penso quando leggo della crisi, che durerà forse fino al 2017 e cambierà nel profondo la nostra società, il nostro stile di vita: saremo tutti più poveri, senza sicurezza alcuna. Senza sicurezza, ma comunque anni luce avanti alla miseria di una nazione intera, sessant'anni prima. E se ce l'hanno fatta loro, se non si sono spezzati le ossa, uscendone anzi rafforzati, perché non dovremmo farcela noi, perché dovrebbe essere tutto nero ciò che ci aspetta? L'unico pericolo è che sprofondino soltanto alcuni mentre altri rimangono a galla, evidenziando disparità che alla fine lacerano una comunità e fanno da premessa alla tragedia. Sessant'anni fa c'erano sì i ricchi, ma la netta maggioranza delle persone viveva una condizione comune di indigenza e accettare il poco era scontato, così come la consapevolezza che soltanto unendo le forze si poteva crescere e migliorare le condizioni di vita. Oggi il privilegio è la normalità e sarà più difficile adeguarsi al ribasso, però potrebbe non esserci alternativa. Tanto vale allora ricordare da dove siamo partiti e cominciare ad accettare il principio che qualche rinuncia nella nostra condizione di benessere è comunque poca cosa se rapportato a chi davvero a questo mondo non ha nulla e a dieci, undici anni viene spedito in fabbrica.
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