venerdì 24 aprile 2015

Paracadutiamo scrittori (contro l'indifferenza, al di là dei giudizi)

Foto by Leonora
Raccontare storie è un modo per saltare le barriere che ciascuno costruisce attorno a sé, inviando un messaggio.
Perciò ammiro gli scrittori, coloro che non si arrendono alla banalità del giudizio affrettato, al mondo spaccato in due come un guscio di noce, o di qua o di là, giusto o sbagliato.
Raccontare storie, immaginare un volto, un nome, un'età, è la mia difesa personale dall'egoismo, per non cedere alla tentazione di svicolare dalla realtà, di ritirarmi nel privato, visto che tutto ciò che è pubblico viene attaccato, sminuzzato, aggredito, digerito in quattro e quattr'otto, senza possibilità di valutare serenamente ragione e torto.
In questi giorni di barche rovesciate in mezzo al mare ho ceduto spesso alla tentazione di staccare la spina, di lobotomizzarmi, di non farmi coinvolgere, di pensare ad altro. Non è stato difficile, perché sono morti che è facile ignorare, con l'acqua che li inghiotte e ce li toglie dalla vista, lontano dal cuore. Le notizie che arrivano dal fronte enfatizzano i numeri, di per sé spaventosi, ma che non fanno spavento, essendo le cifre aride, a differenza delle storie appunto.
Succede anche per le guerre, vicine e lontane. Ricordo quando ero obiettore di coscienza e prestavo servizio civile alla Caritas: proponevamo un esercizio nelle scuole, indicando il numero di vittime a causa di un bombardamento durante la seconda guerra mondiale, chiedendo ai ragazzi di ritagliare tanti quadratini quanti uomini e donne e bambini erano stati uccisi. Ore e ore con le forbici, interi pavimenti ricoperte di striscioline bianche. Mi accorgo ora che avremmo dovuto fare di più, avremmo dovuto scrivere su ognuno di essi un nome, incollarci una fotografia, di nostro padre, nostra madre, fratelli, cugini, amici di casa e gli amici degli amici, i compagni di scuola, conoscenti vari...
Possiamo pensarla come ci pare, rimanere con le braccia aperte e accoglienti (pur se quelle braccia sarebbero molte meno se la scelta consistesse nell'ospitarli nelle nostre case) oppure tenerle incrociate, considerandoli in qualche modo invasori (ma invasori di una disarmata Brancaleone, che va al macello senza colpo ferire). Di sicuro non resteremmo indifferenti se conoscessimo di ognuno i lineamenti, il ventre che li ha partoriti, riconoscendo loro l'essenza e la dignità di esseri umani, identici a noi, pur se con la pelle più scura o nati in un altro continente.
Ecco perché insieme ai soccorritori e ai militari in quel lembo di mare invierei gli scrittori: per raccontare le storie di vivi e di morti, rendendo quegli avvenimenti meno lontani, più umani.
P.S. Grazie a Enzo Gianmaria Napolillo, che ha avuto la gentilezza di inviarmi il suo secondo romanzo ("Le tartarughe tornano sempre", Feltrinelli) facendomi riflettere sul valore civile della scrittura.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Che bella riflessione!!!!!grazie.
Maurizio Cazzaniga