venerdì 1 aprile 2016

A di Aprile (e Attimo)

Foto by Leonora
Un mese. Un mese esatto, senza nemmeno un rigo, perché se si ha talento limitato o non lo si deve fare per mestiere pure lo scrivere, visto dalla parte del lettore, rischia di diventare arido, banale, noioso.
Un mese è lungo e corto insieme: una campata di ponte in cui ci sta tutto.
Nel mio caso c'è stato sopratutto un libro, che ho letto come scalando una montagna, con un misto di piacere e sofferenza, tanto che il più delle volte non riuscivo ad andare oltre le dieci pagine al giorno. Un libro che mi è entrato sotto pelle, che mi ha stretto il cuore, che ho trovato ricco ed estenuante insieme, evocando esso ancestrali paure e una realtà fotografata allora, negli anni Trenta del secolo scorso, ma che resta attuale oggigiorno.
"Furore". Il titolo è questo. L'ha scritto John Steinbeck ed è un capolavoro.
Insieme a "I Miserabili" di Victor Hugo lo metto in cima alla scala dei romanzi preferiti, poiché entrambi alla sapienza della scrittura e alla prorompente sorgente narrativa abbinano l'interesse per il destino dell'essere umano, la tensione verso un mondo più giusto.
Tralascio qui gli spunti e le riflessioni infinite che mi ha suscitato, preferisco appuntare a futura memoria un momento di felicità perfetto.
Era martedì, stavo finendo il penultimo capitolo disteso sulla pietra calda e piatta di un masso, in Liguria, a Ospedaletti. Il rumore del mare si confondeva con quello del vento, il sole splendeva alto, le dita avvertivano la consistenza coriacea e porosa della carta, leggevo avido parola dopo parola, con la consapevolezza di colui che dopo aver scollinato si lancia in discesa e pregusta il traguardo. Ad un tratto, non ricordo per quale frase, ho avvertito una totale pienezza, un senso di equilibrio assoluto e di sintonia tra ciò che stavo leggendo e il mondo in cui ero immerso.
E' stato un attimo, un attimo di sospensione tra spazio e tempo, un istante di allineamento cosmico, tanto che ho sentito l'urgenza di alzarmi, di neppure guardarmi appresso e di dirigermi a passi lenti fino al termine del molo, avvolto in pensieri indefiniti e precisi al tempo stesso, con la consapevolezza di non poter restare con le mani in mano, di essere chiamato a qualcosa di alto, di utile per gli altri e per me stesso.
Se dicessi che quel "qualcosa" so cosa sia affermerei il falso. Per intanto, colgo l'attimo.

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