Non credo sia avvenuto o, se anche fosse, l'avrai detto per burla, con lo spirito scanzonato che ti distingue e ti rende unico non soltanto ai miei occhi. La riporto ugualmente, perché come direbbe un ormai vecchio direttore di giornale riguardo a una notizia di prima pagina: "È talmente bella, vuoi anche che sia vera?".
L'ho presa larga, come spero tu non prenda mai una curva, per raccontare il tuo primo giorno di moto, quelle due ruote sospese tra inferno e paradiso che da oltre un secolo ammaliano milioni di persone, generazione dopo generazione, compresa la mia.
Tuo nonno era un appassionato, io meno, forse non soltanto per una madre angosciata al pensiero che potesse accadermi qualcosa. Fu così che a sedici anni mi arrivò in casa un Laverda 125 di seconda mano, con il manubrio da pista e che qualche anno dopo venne rottamata, senza aver fatto più di una manciata di chilometri (quasi tutti un sabato pomeriggio che non c'era nessuno a casa e con il mio amico Angelo andammo a provarla sul rettilineo dietro la Nelsa).
Prima c'era stato un Motobecane 50 prestato e poi chiesto indietro da un amico di famiglia e un Ciclone usato che non partiva mai e procedeva più che altro a spinta (colpa della carburazione, ma cosa ne sai tu della carburazione: del resto, pure io non è che sia un meccanico Yamaha).
Venne infine la Vespa Px 200, la stessa che uso tuttora e credo sia all'origine del tuo desiderio di sentire l'aria sul viso e la libertà di poter andare ovunque, in moto appunto, anche se per i puristi associare le moto a uno scooter è una bestemmia.
Continuo a tenermi a distanza dal centro del discorso, quasi girassi in tondo, su una pista.
In verità se riporto tutto ciò è per lasciare a futura memoria la ragione che, a differenza di mia madre, mi ha impedito di fare resistenza ad oltranza, concedendoti il permesso di adottarne una.
La premessa è stata la stessa di tutte le altre decisioni che riguardano te e i tuoi fratelli, convinto che non posso proteggervi pretendendo di rinchiudervi in una bolla, in una casa di vetro, limitandomi a formarvi affinché di voi stessi abbiate cura.
Un rischio che si chiama "educativo" non soltanto per facezia.
Il motivo vero però che mi ha acquietato la coscienza è stata una tragedia.
Non in moto, non una delle tante, troppe storie strazianti che mi è capitato di raccontare aprendo il Tg, compreso ieri sera.
Piuttosto, le tragedie di Eschilo, Euripide, Sofocle. Quella di Edipo o di Elettra. Il racconto di come il destino alla fine sia padrone di ogni cosa e se le strade intraprese sono scelte soltanto in base all'obiettivo di evitarlo, alla fine proprio quelle conducono ad incontrarlo, spesso pestandoci il muso, sbocciando in sciagura, in rovina.
Per questo ho cambiato idea. Perciò ho allentato le maglie dell'intransigenza.
Non perché sia certo di non pentirmene: tutt'altro. Ma è una consapevolezza che devo saper accettare, se non voglio morire insieme a te ogni giorno, di paura.
P.S. Sii prudente. Senza ossessione, ma con determinata perseveranza. Il problema della moto, nove volte su dieci, non sta in chi sta in sella, bensì in tutti gli altri, maldestri o distratti alla guida. E oltre a questo, più di tutto, temi la confidenza. Quando tutto ti sembrerà facile, naturale, quando avrai macinato centinaia di chilometri in modalità tranquilla. Un grande del motociclismo, Giacomo Agostini, che intervistai anni fa e che tuttora in moto viaggia, mi disse che importante è essere sempre vigili, senza distrazioni, pronti a svoltare rapidi o ad usare il freno. Perché di accelerare sono capaci tutti, quel che conta però è sapersi fermare rapidi, nel lampo che conta.
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