lunedì 12 ottobre 2009

Il modello Norvegia può...

Il modello Norvegia può attendere. Ci vuole più cuore

A Milano c’è la Baggina, da queste parti i sinonimi di casa di riposo sono due: la Provvidenza, con le suore del don Guanella, e la più laica Ca’ d’Industria. Si scrive Ca’ d’Industria, ma si legge Como e anche Pietro, Sandro, Rosina e mille altri nomi e volti di chi da quelle stanze c’è passato, ci passa e ci passerà. Non è una semplice istituzione: è il simbolo stesso del diventare anziani, un luogo che si vorrebbe con tutte le proprie forze evitare e al tempo stesso di un’accoglienza che a nessuno è negata. Finirci non è mai un piacere, però può capitare ed è proprio con questo spirito del "può capitare anche a me" che i comaschi della Ca’ d’Industria si sono sempre occupati, gli hanno voluto e gli vogliono bene persino.Un sentimento diffuso, che alcuni hanno tradotto in volontariato a tutti i livelli: dal prestare assistenza a chi non ha più parenti, al far parte di un consiglio di amministrazione che ha sempre vantato persone di spessore. Facciamo un nome: Renzo Pigni, ma ce ne vengono in mente anche altri, come Daniela Corti o l’ex presidente Castelli. Gente alla buona, abituata a ragionare con il cuore in mano, ma che a dispetto dei santi (o proprio grazie al loro aiuto) hanno fatto sbocciare strutture modello, riuscendo sempre a stare in equilibrio su quel filo sottile che è la gestione a mezza strada tra il familiare e il professionale. Senza pretese di verità, è innegabile che abbiano raggiunto risultati brillanti perché la gente si fidava di loro e molto potevano pretendere, anche gratuitamente, perché molto concedevano, senza pretendere una lira in cambio. Non sappiamo cosa sia successo nel frattempo. Certo le persone che le hanno sostituite sono qualificatissime, a testa avranno magari due lauree e modelli di welfare da far invidia al primo ministro norvegese. Ci domandiamo però se hanno compreso cosa ha reso unica, in questi anni, la Ca’ d’Industria: il cuore.
La Provincia, 10.10.09

3 commenti:

Wilma ha detto...

Un bellissimo articolo. Consentimi però, in qualità di "professionista dell'aiuto", di condividere con te ciò che ho dovuto ammettere negli anni: l'amore, ahimè, non basta...

Giorgio ha detto...

Essendo stato anch'io un "professionsta dell'aiuto", concordo sul fatto che l'amore non basta, ma senza amore neppure si comincia ad aiutare...

andre ha detto...

scusate se mi inserisco e, tanto per non sbaglliare, dò ragione ad entrambi. Tuttavia, caro Giorgio, credo che il problema non sia la presunta o reale anaffettività delle persone che fanno questo o simili lavori, nè, permettimi, mi par onesto punzecchiare chi una laurea ce l'ha, magari se l'è pure sudata, per poter.....a volte guadagnare meno di un operaio, lavorare con persone difficili, con una responsabilità grande: la cura del loro benessere che, tu sai bene, non è poca cosa. E spesso, tutto questo, in condizioni di lavoro difficili e stressanti. Forse sono distratto o male informato, ma non ricordo di aver mai sentito parlare di uno sciopero in una struttura socio-assistenziale e questo in gran parte è dovuto al "cuore" degli operatori (asa, oss, infermieri, educatori) che sanno bene quali disagi un simile evento potrebbe procurare. Qualcuno s'è mai figurato un simile scenario? Sciopero Generale!!!!
scusate l'intrusione,
andrea fasola