sabato 9 ottobre 2010

Cartellino giallo


Il cartellino giallo mi ha fatto diventare rosso. E' successo una settimana fa, a Legnano. Mio figlio era reduce da un infortunio ed è entrato in campo a partita già iniziata e segnata: tre a zero per gli avversari. A metà della ripresa, quando i gol erano già diventati quattro, su un calcio d'angolo Giacomo ha sentito di esser stato trattenuto e ha protestato con l'arbitro. Peggio, allontanandosi da lui lo ha mandato platealmente a quel paese con la mano. Non una, due volte! Fischio, gioco fermo e ammonizione sacrosanta, mentre io in tribuna sarei voluto sprofondare: passi un giocatore scarso, anche falloso, ma maleducato no, non lo posso tollerare. La rabbia mista a delusione è durata un quarto d'ora buono, fino al termine della partita, quando - unico delle due squadre - Giacomo è andato verso l'arbitro per stringerli la mano. "Ah, quello è mio figlio - ho pensato - mi sembrava strano". Che abbia fatto una stupidaggine, che non abbia ragionato se n'è accorto anche lui, che infatti appena uscito dagli spogliatoi aveva basso lo sguardo. Da parte mia, ero ancora rammaricato e sono stato tagliente e persino un po' bastardo, come solo con i miei stretti familiari faccio. "Ti dico solo una cosa: che non capiti mai più - gli ho detto - tu vedi troppa televisione. Sembravi Totti invece sei solo un bambino che deve crescere". Lui non ha replicato, gli sono scesi due lacrimoni lenti lenti, mentre guardava dritto avanti a sé, combattendo tra il groppo in gola e l'orgoglio.

Se lo appunto qua, se racconto un episodio minuscolo, è per collegarlo a una vicenda ben peggiore, di cui scriverò domani sul giornale: lo stato d'animo di un padre il cui figlio, perdendo il controllo dell'auto, ha ucciso una ragazza che sarebbe diventata mamma di lì a poco e ch'è morta sull'ambulanza, mentre metteva al mondo la creatura che portava nel grembo. Mi sono immaginato spesso, nei giorni scorsi, di essere nei panni di quel padre, che non c'entra nulla, e che pure ha davanti agli occhi la rovina del figlio, che non può abbandonare, a cui deve stare vicino anche se non può negare lo sbaglio, né la gravità di quanto accaduto, la sterminata tragedia che ha procurato. Non so cosa farei se fossi al suo posto: prego Dio che mi risparmi da simili situazioni, pur sapendo che neppure Dio può mettere al riparo dalle disgrazie della vita, sia che rientrino in un vasto e impescrutabile disegno, sia che risultino un banale terno al lotto. Se mai dovesse accadere, vorrei la forza di non fuggire, di non negare, di aiutare chi mi è vicino e per primo me stesso ad assumermi le responsabilità, a chiedere scusa, perdono, anche se difficilmente verrà accordato. Domandarlo però, avere il coraggio di compiere quel gesto, è il primo passo se non per ottenere il perdono degli innocenti, almeno per concederlo a se stessi, per cominciare a farlo, avendo coscienza del tremendo sbaglio compiuto, ma pure della dignità di chi non fugge, decidendo di restare innanzi tutto un uomo.
Foto by Leonora

1 commento:

Pier ha detto...

Ho trovato il tuo blog per caso, tempo fa, una sera in cui avevo voglia di leggere i pensieri altrui. L'ho aggiunto tra i preferiti credo quasi subito e torno a leggerlo quasi tutte le settimane perchè scrivi articoli eccezionali. Mai banali, mai superficiali. Complimenti!