venerdì 29 novembre 2013

Un secolo, una vita (elogio del tempo attuale, contro tutti i pessimismi)

Foto by Leonora
Giacomo a gennaio compirà diciassette anni e benedico il secolo che ci separa da un altro tempo, da un'altra epoca. Gennaio 1914. Non c'erano play-station né computer, ma questo senza dubbio è il meno. Era la pace che vacillava e nel volgere di pochi mesi l'Europa si sarebbe infiammata in una guerra che un anno dopo avrebbe contagiato pure l'Italia.
Ci pensavo ieri l'altro, mentre leggevo la biografia di Adriano Olivetti, guardando mio figlio sdraiato sul divano ("Gli sdraiati" è l'ultimo libro di Michele Serra, che parla proprio degli adolescenti), quieto e beato, senza neanche quei crucci esistenziali che assillano molti suoi coetanei, sazio di serenità e indolente come lo ero io, alla sua età, ma con la stessa curiosità per le vicende politiche, per lo sport, le amicizie, gli svaghi.
Mi immaginavo il suo trisavolo Giovanni, cento e venti anni prima, o Ermenegildo Bardaglio, il papà di George, appena sbarcato in America, dopo un viaggio infinito in un piroscafo che non somigliava affatto a una nave da crociera, senza sapere una parola di inglese e con scarsissimi quattrini in tasca.
Se fosse nato cent'anni prima Giacomo, il mio Giacomo, tra poco più di un anno sarebbe stato abile e arruolato per la guerra, sarebbe partito per il fronte, lasciando me, sua mamma, sua nonna e i suoi fratelli con un groppo alla gola e un giogo pesantissimo, che ci avrebbe tenuti svegli la notte e si sarebbe dilatato durante il giorno, come un'ombra.
In quella guerra mondiale, la prima, morirono dieci milioni di soldati, moltissimi dei quali poco più che ragazzi. Altri milioni restarono feriti, segnati nel corpo e nello spirito da un'esperienza disumana.
Cosa resta di quel falciare vite con la facilità di una mietitrebbia?
Qualche monumento ai Caduti, alcune lezioni, molte pagine di storia. Nulla tuttavia che mi faccia anche soltanto prendere in considerazione che di morire in una guerra valga la pena. Benedico allora i passi che abbiamo compiuto, le scelte che sono state fatte, i recenti settant'anni di pace e pure la condizione attuale, che può sembrare fosca e grama, ma nella peggiore delle ipotesi non assomiglia nemmeno lontanamente all'inferno che allora cominciava.
Gennaio 1914, gennaio 2014. E' trascorso un secolo non invano. Lo vorrei ricordare ogni mattina che mi sveglio con la luna storta e scuoto il capo sussurrando tra me e me: "Che tempo maledetto, questo della crisi". Per quanto maledetto sia, rispetto a un secolo fa, è comunque sciambola.

1 commento:

Ivana ha detto...

Io ragionerei su due diverse battaglie invece:allora nel 1914 ci si apprestava ad una guerra fatta di fucili e cannoni,oggi nel 2014 la guerra è di tipo economico,ad oggi in Italia sono 1 milione i giovani disoccupati...ed è quindi sempre comunque un morire...