sabato 9 novembre 2019

Muri, ponti e gentiluomini (La lezione di Marino)


Per un muro che cade, cento se ne costruiscono, ogni giorno.
Vista la ricorrenza di oggi, non è un esempio a caso.
La maggior parte però non sono pietre né mattoni messi con discernimento: spesso, quasi sempre, si tratta dei così detti "errori involontari", quegli sbagli non intenzionali ma che finiscono inevitabilmente per fare danno, pur senza volerlo.
Quanto livore, rancore, disappunto, quanta delusione e ira eviteremmo se tra i molti pregiudizi che abbiamo aggiungessimo questo: considerare l'errore altrui come frutto di un inciampo, una svista, un eccesso di superficialità, una scarsità di sensibilità o conoscenze e non di un disegno preciso, di un atto malignamente architettato.
Credo sia questo un modo efficace per distruggere molti dei muri che si erigono e nel contempo gettare le basi di quei ponti che a voce tutti auspichiamo e pochi nel concreto innalziamo.

Cambio scenario, pur restando in argomento.
Sentenziava Totò: "Signori si nasce e io modestamente lo nacqui". Lo nacque anche qualcun altro.
Marino Magrin fu a suo tempo giocatore diligente e di talento, professionista in molte squadre di calcio, ricordato soprattutto per aver vestito la maglia numero dieci della Juventus la stagione successiva a quella in cui "Le Roi" Platini annunciò il ritiro.
Tre giorni fa ho realizzato chiaramente perché piacque a Boniperti, dirigente spartano e primo ministro plenipotenziario della società che aveva l'avvocato Agnelli per monarca assoluto.
L'episodio che mi ha illuminato è stato questo: una telefonata ricevuta subito dopo aver concluso il tg. Era lui, Marino, ospite fisso di BgTv degli appuntamenti dell'Atalanta in Champions e per una volta assente, perché voleva essere allo stadio ad assistere alla sfida con il Manchester City, insieme con il figlio che proprio quel giorno avrebbe festeggiato il compleanno. "Giorgio, ti disturbo? - ha esordito - volevo soltanto sapere come stai e scusarmi se domani non potrò esserci". "Ma Marino, figurati - gli ho risposto - ci mancherebbe altro, mi avevi già avvisato e sono contento per te, non dovevi disturbarti a chiamare". E lui, a chiosa di tutto: "Non dirlo neanche per scherzo, una telefonata, sentirti di persona, è il minimo".
Questo è l'uomo (che da noi viene a sue spese, non prendendo neanche un euro, è bene precisarlo), questa è la lezione che mi ha dato. Una telefonata, al giorno d'oggi, è come il sorriso della poesia di Gibran: "Arricchisce chi la riceve, senza togliere nulla a chi la dona".

Quando pensiamo ai muri da abbattere e ai ponti da costruire non andiamo lontano: basta considerare involontarie buona parte delle mancanze altrui e praticare piccoli gesti di buona volontà per unire, più di quanto immaginiamo.

P.S. Che Magrin fosse un signore già lo sapevo. Me l'aveva detto un tifoso dell'Atalanta con i capelli brizzolati, incontrato per strada e che mi ha fermato per dirmi che quando era ragazzo suo padre lo portava agli allenamenti della prima squadra e l'unico che si fermava sempre, che stava con i tifosi e firmava autografi e ascoltava tutti era proprio lui, Magrin, Marino.

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