sabato 2 novembre 2019

Alba chiara (Grida senza risposta)


L'ho ritrovata dopo anni, sentendomi parecchio in colpa, per non essere andato a trovarla prima, per non essermi ritagliato il tempo e la voglia necessaria.
Albina è prima cugina di mio padre, nata in Valtellina e innestata in Piemonte, in paesi sparsi tra Borgomanero e Varzo, con tutto quel ramo della discendenza.
Quando ero bambino non passava anno o due in cui non prendessimo l'auto, attraversassimo il lago Maggiore in traghetto, e facessimo visita ai parenti.
La modernità ha portato la comodità dell'autostrada e tolto l'abitudine buona della riunione di famiglia, complice la falcidie di lutti che ha estirpato poco alla volta ma inesorabilmente una generazione intera, quella della parentela più stretta.
Tranne Albina. Quando l'ho chiamata, prima di bussare alla sua porta, per avvisarla, ha risposto dolcemente, salvo poi chiedere consiglio alla vicina e chiamare per sicurezza a casa mia mamma, spiegando che "al giorno d'oggi può essere anche un truffa".
Non ci vedevamo da anni, l'ho ritrovata d'una dolcezza infinita, pure se oltre la limpidezza degli occhi c'era un muro, la barriera del dolore, della sofferenza inconsolabile, quella che continui a respirare e bere e mangiare e vedere la tv e parlare con la gente ma la tua vita è finita.
Albina, uno dopo l'altro, in un lampo, ha perso i due fratelli e i due figli, uno stillicidio di disgrazie da far perdere la testa.
Sentirglielo raccontare, a ciglio asciutto - perché anche le lacrime a furia di scorrere hanno inaridito la sorgente di provenienza - è stato straziante.
L'ho ascoltata come avrebbe fatto mio padre, una mano sulla fronte e a occhi chiusi, di tanto in tanto indicando sì con la testa, compreso quando ha parlato della fede, di quanto è arrabbiata e delusa da Dio, da come si sente lontana.
Non suonava come una bestemmia, tutt'altro: aveva il suono della disperazione, era il grido di Giobbe, dell'essere umano che non trova giustificazione, risposta.
Di fronte a lei mi sono sentito piccolo piccolo, uno gnomo che ha costruito la sua casa sulla sabbia, colui che vede la precarietà delle proprie certezze, del marinaio che viaggia spedito e sicuro di sé soltanto perché ha il vento in poppa.
L'ho ricordato quest'oggi, in uno di quei giorni che la tradizione ha fissato in calendario per ricordarci che molto traballa e tutto passa e per quanto i nostri affanni siano unici ed originali, fanno eco a quella che è da sempre, incessantemente, la condizione umana.

P.S. Il vuoto di Albina è immenso, eppure c'è chi lo riempie o tenta di riempirlo, con presenza, costanza. Sono le persone che le stanno vicino, a cominciare dalla nipote Claudia e dai figli dei suoi fratelli, che conosco a malapena ma a cui sono legato non soltanto dal sangue, pure dalla riconoscenza, perché danno contorno e forma e consistenza alla virtù della speranza.

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