La tua fragilità è proiezione della mia.
Forse per questo la contengo, esorcizzando la paura con apparente cinismo, quel prenderti palesemente in giro, non per mancanza di sensibilità, semmai per istinto di sopravvivenza.
Gli attacchi di panico sono una bestia grama, visibile e tangibile soltanto per chi la ospita.
Per questo ho imparato che l'unica cura, il solo gesto di sostegno è distrarti, eludendo lo sguardo dalla sua tana, focalizzando la tua attenzione su altro, sia esso il contatto delle mani che ti accarezzano la schiena o la parola intesa più come tono suadente di voce che come argomento o contenuto di sapienza.
Ho scoperto poi un trucco, per farti staccare la spina dalla corrente continua della tua angoscia: costringo a concentrarti su altro, a cercare qualcosa.
"Dimmi cinque cose colorate di rosso che vedi in questa stanza".
"Quante ante d'armadio e cassetti ci sono".
"La data di nascita dei tuoi nipoti, compresi quelli alla lontana".
Espedienti. Piccole scappatoie per non appoggiare tutta la soluzione sulle gocce o pastiglie di farmacia.
Anche se il conforto più grande, per me, come in passato ho già scritto, è l'acquisita consapevolezza che di un momento si tratta, che ti passerà, che la bestia è sì feroce, ma alla fine della lotta - perché di una lotta si tratta - non ne resterà traccia, a patto di saperla chiamare per nome e affrontarla, insieme, ogni volta.
P.S. "Comunque sta tutto nel capire di che cosa la persona di fronte ha bisogno: alcune volte si tratta di farla pensare, altre volte di farla sfogare e basta, altre volte di offrire una spalla, in dolcezza". Vale sempre. Con tutti. Non soltanto per gli attacchi di panico o quando l'ansia preme come un macigno tra petto e gola.
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