giovedì 10 dicembre 2009

Alessandro e il babbione


"Le vite degli altri" è un film che mi ha commosso, per cui confesso un certo pudore nel prenderlo a pretesto per una quisquiglia da poco, per dare forma a una sensazione che provavo ieri l'altro, scorrendo Facebook. Tra i molti "amici" (sarebbe meglio definirli "contatti") ce ne sono alcuni di cui so poco o nulla, certi sono capitati sulla mia lista non so come e ho imparato a conoscere di loro almeno uno spicchio, osservandoli da lontano, curiosando attraverso quel fragile velo ch'è il social network. Ad alcuni, pur non rivolgendo che qualche rara parola di circostanza, mi sono affezionato. C'è chi sta studiando e libri e voti sul libretto universitario sono l'orizzonte concreto, c'è chi è innamorato della danza e vive in funzione di quello, c'è chi pratica uno sport e si cimenta in campionati di calcio, di pallacanestro e persino in maratone, o in sfide da superatleta che io solo ad immaginarle mi manca il fiato, c'è chi vive la notte con la stessa intensità con cui io vivo di giorno. Faccio un esempio: Alessandro Arrighi. Lui non lo sa, ma io sono un ammiratore della sua resistenza da uomo di mondo. Qualche mese fa, quando mi capitava di spegnere il computer in redazione o a casa e mi preparavo ad andare a letto, mi stupivo nel leggere che stava uscendo e, non di rado, quando lo riaccendevo, lui era appena rientrato a casa. Mi veniva in mente un altro film, "Ladyhawke", in cui Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer a causa di un incantesimo si trasformavano rispettivamente in un lupo di giorno e in un falco di notte, per cui non si incrociavano mai (d'accordo, né io né lui, credo, miriamo alla parte della Pfeiffer, ma il nocciolo è un altro). Per farla breve, il prima sconosciuto Alessandro s'è rivelato un grimaldello per riscoprire un mondo che ho frequentato (in dosi omeopatiche) tanti anni fa. Ed ora, se non tutto, so almeno qualcosa in più delle discoteche, dei locali di Como, delle compagnie che si frequentano, della vita notturna, di come ci si veste, di che facce ci sono e Polina, Elena e gli "amici" (sarebbe sempre meglio dire i "contatti") di Alessandro sono diventati familiari anche a me, tanto che a volte ho infranto una regola per me aurea, chiedendo io l'amicizia (sarebbe meglio dire il "contatto") anche se non li conoscevo. Ora, da qui ad invidiare il Dj Tote ce ne passa, però ammetto che molti pregiudizi si sono infranti e provo simpatia per la voglia di divertirsi e affetto, persino, per persone che prima ignoravo e che, pur indirettamente, mi fanno sentire meno "babbione" di quello che sono. Anche questo è Facebook, e lo scrivo senza addentrarmi in giudizi valoriali, decretando che si stava meglio quando si stava peggio o viceversa. Il computer non sostituisce la frequentazione, la vicinanza fisica, il contatto: come ho già scritto in questo blog, è semplicemente uno strumento, al pari dell'auto o del telefono. Però è indubbio che aiuta ad eliminare molti alibi, molte barriere, soprattutto a stare in "contatto" (ma sarebbe meglio dire in "amicizia").

Foto by Leonora

2 commenti:

silvia ha detto...

Mah! Non è tutto rose e fiori. Nel mare del web si nascondono anche gli squali, gente che approfitta della protezione di uno schermo per ingannare gli altri, ed è difficile smascherarli.
Col vecchio metodo dell'incontro faccia a faccia, invece, puoi usare tutti i sensi per capire chi hai davanti, il feeling o l'antifeeling che provi verso quella persona sono molto più veritiere, e tutto sommato è più facile smascherare i bugiardi.
Per venire al dunque: davvero puoi pensare di essere amico di una persona non avendola mai guardata negli occhi?

Giorgio ha detto...

Lo so che non sono tutte rose e fiori e che il virtuale è distante dal reale. Però alla domanda: puoi davvero pensare di essere amico di una persona non avendola mai guardata negli occhi? La mia risposta è sì, si può esserlo anche senza essersi mai visti negli occhi. Del resto, le corrispondenze epistolari dei secoli scorsi ne sono una conferma. O no? :-)