lunedì 14 dicembre 2009

Generazione FarmVille e il Duomo


Il Duomo di Como. Bellissimo, ci hanno messo oltre tre secoli per costruirlo. M'è venuto in mente ieri pomeriggio, quando mio figlio Giacomo (dodici anni) mi ha chiesto di lasciargli pure acceso il computer, che doveva giocare a FarmVille su Facebook. A me, che i giochi al computer interessano zero al quoto, è subito venuto il sangue agli occhi e gli ho detto che non se ne parlava, che era domenica, che tanto tra dieci minuti sarebbe andato all'oratorio e che, se proprio voleva, patate, fragole e ogni sorta di verdure poteva piantarle sul serio, nell'orto di casa. "Ma papà - mi ha risposto serafico Giacomo - lì non crescono mica in quattro giorni!".

Ha ragione lui, ma siccome il trombone sono io, piuttosto che arrendermi all'evidenza preferisco trarre da tutto ciò una morale. Siamo generazioni abituate al "tutto e subito", all'avere ieri e neanche immaginare di dover aspettare domani, figuriamoci se il conto consiste in settimane, mesi, anni addirittura. Rinunciamo volentieri alla profondità, accontentandoci del navigare a pelo d'acqua (a questo proposito, leggere Zigmun Bauman, ma anche il "Next" di Baricco), godiamo l'istante ma rischiamo, esattamente come la cicala, di consumare le riserve che centinaia di generazioni hanno accumulato per noi, senza che noi badiamo ad alimentarle per coloro che verranno. Siamo una genìa di figli (anche gli adulti), disabituati a ragionare da padri e madri. Vale per le grandi opere (strade, ferrovie, infrastrutture, reti tecnologiche) e per le singole famiglie. Sta tramontando la cultura del risparmio, che specialmente da queste parti era una valore pari al lavoro, al produrre. Oggi un'opera che occorrono trecento anni a costruirla non riusciamo nemmeno a immaginarla, e lo stesso vale per unità che si misurano in decine d'anni. Non è un anatema alla Savonarola, bensì un "mea culpa". Io per primo sono così e per non demoralizzarmi, racimolo alcuni esempi di vita privata, di scelte quotidiane, avviate non per un'urgenza, ma per una strategia, per una soluzione dei problemi a lunga gittata. Penso a quando, diciottenne, ho cominciato a leggere libri su libri, imponendomi di sottolineare le frasi che mi colpivano; o quando ho iniziato a scrivere e, per far rimanere la mente allenata, mi sono imposto di ricordare quelle citazioni senza bisogno di portarmi sempre appresso un'agenda; oppure, più banalmente, quando da bambino che cresceva mi sono imposto di lavarmi i denti con metodo, non cercando di fare il furbo appena poteva. E ancora, quando ho iniziato a scrivere questo blog, che a breve conterà trecento post e che ancor oggi tengo vivo pensando e sperando che saranno i miei figli e i figli dei miei figli a leggerlo.
Foto by Leonora

1 commento:

andre ha detto...

...non è solo il senso di non demoralizzazione. Un blog che leggeranno i figli e i figli dei figli è una scelta, una determinazione, un atto di volontà che guarda al futuro, esattamente come generare i figli, accudirli, dare un senso alla loro esistenza con le nostre piccole grandi forze e risorse. E' il seme del futuro, gettato, è, come diceva Gibran, la mano che scocca la freccia e il buon Dio che ama la freccia tanto quanto il braccio che regge l'arco. E' il senso della Provvidenza, che abbiamo smarrito o che forse ci vergognamo di professare e confessare. Noi siamo il risultato di quello che eravamo da piccoli, di quello che erano i nostri genitori (più di quanto non immaginiamo!!) e i nostri figli saranno esattamente la stessa cosa......