giovedì 3 dicembre 2009

Il tempo delle olive


Ieri ho raccolto le olive. Non ero in Puglia, in una di quelle masserie a un tiro di schioppo da Monopoli, dove da ragazzo andavo in vacanza, insieme a una quarantina di amici dell'oratorio, né nella "zòca de l'olii", sopra Ossuccio, su quel ramo del lago di Como. L'albero è proprio di fronte a casa mia. Un tempo era semplice arbusto in un vaso troppo piccolo, acquistato in fretta e furia da chi organizzò il comizio di Prodi al Palasampietro. Quando tutto finì e le luci si spensero nessuno lo reclamò e se ne restò abbandonato sul palco. Lo prese in cura il custode del palazzetto, che è poi il papà di Mauro e Marco Migliavada, e quando passai di lì per caso (cioè, non proprio per caso, perché allora seguivo la Comense e al Palasampietro andavo in pratica ogni giorno) mi disse: "Nàn, t'al vòrat", lo vuoi. Lo volevo. Era il 1996. Arrivato a casa lo piantai dove abitavo, nel fazzoletto di prato della vecchia casa di via Varesina, in un posto troppo all'ombra e a nord per farlo crescere rigoglioso, ma almeno abbastanza riparato da non subire l'attacco del gelo. Ma quello stelo d'ulivo era tosto, non ne voleva sapere di lasciarci con le foglie anche il tronco, come invece capitò a un acero ben più robusto, certo abituato alle basse temperature e che invece un autunno si spogliò senza più riprendersi in primavera. Quattro anni fa, quando sono tornato nella casa costruita dai miei genitori, mi sono portato appresso anche l'ulivo, scegliendo un posto molto più soleggiato, accanto a un masso enorme, che da un tocco di bucolico. Adesso è una pianta fatta e finita, con rami che crescono puntando dritti verso il cielo e che ogni due anni vengono potati, per mantenere compatta la chioma. Questo 2009 per le olive è stato uno spettacolo: ce n'erano a chili e così li abbiamo colti, per metterli in salamoia. Un esperimento già fatto tre anni fa, quando per due mesi mio padre cambio l'acqua salata e con suo grande stupore e godimento, ne usci un enorme vaso, di olive scure e asprigne, forse un filo amare perché il gusto ne fosse apprezzato, ma comunque esaurite con soddisfazione durante le feste
natalizie, poiché erano "le olive del nostro albero". Quest'anno abbiamo esagerato e scartate quelle ammaccate o quelle "picciridde", troppo piccole, ne sono rimasti un paio di secchi che, se tutto va bene, smaltiremo nel 2019. Oggi poi a pranzo ne ho parlato con Luisa, che ho scoperto essere un esperta (me lo ha fatto notare però nel suo stile, senza ostentazione, con garbo) e da cui ho imparato come si giudica salata al punto giusto l'acqua (deve rimanere a galla un uovo) e che durante la preparazione sopra si mettono le foglie, quasi a formare un coperchio. Lettore di blog avvisato, mezzo salvato: chiunque passi da casa Bardaglio nel prossimo decennio, è probabile non sfugga al fatale invito: "Vuoi provare un paio d'olive? Sono del nostro albero". Dai, se avevo una pianta di carrube vi andava peggio...

Foto by Leonora

3 commenti:

toto ha detto...

Adoro le olive, in tutte le forme e colori! Quasi quasi pianto un ulivo a casa dei miei...

andre ha detto...

...ma un po' d'olio pareva brutto???!!!

Wilma ha detto...

Verrò senz'altro a provare le tue olive...Porto il pane toscano però...