Pagine da libro "Cuore" e quattro maestre che insegnano la vita
La retorica ci fa venire l’orticaria, ma il libro "Cuore" fa eccezione alla regola. Ieri s’è conclusa la scuola per migliaia di ragazzi, che si moltiplicano come in aritmetica se si aggiungono padri, madri, nonni, zii e la compagnia briscola di gente che dà una mano nell’andare e tornare o a fare i compiti o in tutti gli annessi e connessi di attività che occupano l’intera giornata. Quando eravamo bambini non era così: non esistevano corsi opzionali, niente mensa e il doposcuola neanche, le ore erano meno, di maestre ce n’era una sola e le vacanze duravano da metà giugno al primo ottobre, San Remigio. Adesso è impegno più gravoso, ma di quella ch’è ormai diventata un’industria, la parte più importante resta cesellata a mano. Stiamo parlando delle centinaia di professoresse e professori, maestri e maestre, che intendono tutt’oggi l’educazione dei ragazzi come missione, prima che un modo onesto di guadagnarsi lo stipendio. Ne prendiamo a caso quattro, chiamandole per nome: Maria, Emanuela, Luisa, Mariella. Non indichiamo invece il paese dove insegnano: non ce n’è bisogno, nella certezza che come loro ne esistono moltissime.La storia che ora in sintesi raccontiamo potrebbe valere, con sfumature e tonalità diverse, per tutte le scuole della provincia. Mariella, Luisa, Emanuela e Maria hanno portato quest’anno a termine il ciclo delle elementari in una scuola pubblica, organizzando uno spettacolo per tutte le classi quinte. Per tre ore i bambini hanno intrattenuto la platea di un teatro. Se ne sono viste di tutti i colori, con ragazzi venuti dalla Tunisia e dal Ghana che hanno ballato sulle musiche di Michael Jackson ed altri che hanno preparato scenette in dialetto comasco. Qualcuno s’è esibito in un’appassionata ’O sole mio, il tutto farcito di diapositive per riepilogare cinque anni insieme, fianco a fianco. A un certo punto, a metà serata, tutti insieme hanno cantato l’inno di Mameli e siamo rimasti stupiti da quell’andare in coro: bambini dai colori differenti, accolti e cresciuti dalle insegnanti nello stesso modo. Ognuno sa da dove proviene, se da Trapani o Portichetto, dal caldo Senegal, dal quartiere di Sant’Agostino o dalla sponda occidentale del lago. Le radici per fortuna non sono recise di netto, ricordandoci che siamo frutto di una tradizione, di una cultura differente, che può essere d’ostacolo ma anche arricchire l’un l’altro. Su quel palco, cantando quell’inno, ognuno dichiarava un’appartenenza condivisa, senza rinnegare la propria storia, semmai dando ad essa compimento. Lo diciamo schietto: non ci siamo mai sentiti così orgogliosi come l’altra sera d’essere italiani, figli di un paese che offre una scuola e insegnanti tanto sensibili e brave da far sentire ogni bambino a casa sua. Ch’è poi la nostra.
La Provincia, 13 giugno 2010
1 commento:
Brave quelle maestre! Solo un'altra maestra può capire quanto impegno, energia, passione richieda quello che hanno fatto.
Per fortuna la buona volontà dei singoli silenziosi ma propositivi e costanti nel creare quell'integrazione che è necessaria alla buona salute di questo paese e di tutti quelli che ci abitano, suppliscono alle mancanze vistose e imperdonabili dei nostri governanti che questa integrazione dovrebbero promuoverla. Alla scuola spetta un ruolo determinante in questo processo. Purtroppo però spesso non abbiamo il sostegno e la collaborazione di chi ci governa (penso a quei provvedimenti e ai modi discutibili in cui sono stati attuati di chi ha negato la mensa ad alcuni alunni o il servizio scuolabus) nè della società civile. Ahi!
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