venerdì 28 agosto 2020

Un passo dopo l'altro (Risalgo)


Mi sei stato collega, abbiamo lavorato insieme, pur se tu superiore di grado, in una stagione in cui la differenza di generazione impediva di colmare il divario del ruolo.
Ti ho rivisto ieri, che camminavi in centro, il volto scavato, a braccetto di tua moglie, uno sguardo spaurito, prima ancora che perso.
Ho stentato a riconoscerti e quell'istante è bastato affinché le nostre strade non ci incrociassero, lasciandomi un senso di colpa, per quell'esitazione di troppo, che nella coscienza ha retrogusto d'un gesto vigliacco.
Eppure da allora mi sei stato accanto e ti porto con me anche ora, che è passato qualche giorno. L’immagine tua è nel contempo eco e riflesso di sentimenti che di tanto in tanto mi rincorrono (pur se io sono quasi sempre più lesto e rifuggo): la caducità del mondo, il tempo che scorre inesorabile, l’idea che un giorno non lontano potrei essere io quell'uomo, quell'occhio vuoto, quel volto smarrito.
È forse per questo che nel tempo attuale scrivo così spesso. Uso le parole come ago e filo, per ricucire strappi che raramente si vedono e che io stesso tendo a minimizzare, tirando dritto, sentendomi funambolo in cima a una piramide di sedie, con sotto i piedi un appoggio apparentemente solido, ma che avverto incerto, precario, che basta un refolo di vento imprevisto - un problema serio, un colpo di sfortuna - per far precipitare, per farmi sentire di fronte al dolore, alla sofferenza, com'è da millenni l'essere umano: fragile, nudo.

P.S. "Abbiamo spalle più larghe di quanto immaginiamo". L'ho sentito ripetere cento volte da Paolo e me ne sono convinto anch'io. Spesso l'incertezza o l'ipotesi di qualcosa di pessimo genera più spavento di quanto poi avvenga in concreto, quando il brutto arriva davvero e bene o male in quel vortice occorre nuotare, cercare di mettersi in salvo, senza badare ai fronzoli, facendo leva su quell'istinto di sopravvivenza che - non per caso - da milioni di anni a carezze o pedate ci fa andare avanti invece che indietro.
Un pensiero speciale, in questo senso, va all'amica Francesca, a cui il destino ha risparmiato poco, senza tuttavia mai cancellare il tratto suo inconfondibile: il sorriso. Un sorriso contagioso, che viene dal cuore, che dimostra quanto profondo è il pozzo di risorse che abbiamo, attingendo speranza e dolcezza e bontà pure nei momenti in cui logica vorrebbe soltanto che si maledisse il cielo.
Francesca fin dal primo palpito di vita non ha avuto nulla in saldo, perdendo poi presto la mamma e questa settimana pure il papà, una tra le persone più distinte e miti che abbia conosciuto.
"Vedi quelle scale? Ora mi rigiro e un passo dopo l'altro, risalgo. Sarà difficilissimo ma le sfide, così come la morte, fanno parte della vita" ha scritto Francesca, per salutarlo.
Parole che valgono poesia, parole di cui lascio traccia qui, prendendole a prestito, perché di così "vere" ne ho lette di rado.

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