Ci sono luoghi del cuore e persone che nel cuore altrui trovano dimora e ritagliano - spesso inconsapevolmente - un gheriglio di noce, un nido di presenza, un filamento di bene continuo, incondizionato.
Per averne conferma, per comprendere che sono speciali veramente, esiste una prova, un piccolo test, alla portata di tutti: basta chiudere gli occhi, dedicarvi un pensiero e notare se agli angoli del volto ci si disegna un sorriso, spontaneo come il sorgere del sole.
Una di quelle persone, per me, si chiama Mario ed è un collega giornalista che ho conosciuto a "Il Cittadino", con cui ho avuto l’onore di lavorare e che non sento da anni.
Ieri però, per uno di quei riccioli del destino che dimostrano quanto la realtà sia più varia e sorprendente di qualsiasi fantasie, ho ricevuto sue notizie, da un’amica - Mara - che lo incontra spesso a spasso con il cane al parco di Monza e me lo ha descritto tale e quale a come lo ricordo, una pasta d’uomo, in apparenza burbero ma soltanto per protezione.
Mario, da dopo che se n’è andato un altro collega, Angelo, resta per me il più “monzese” che conosca, colui che incarna della città uno spirito indomito e antico, lo stesso che seppe erigere il Duomo ma scacciare dalle sponde del Lambro prima Sant’Ambrogio, poi San Carlo, non proprio due mammolette.
E sapere che sta bene, che sorride e che condivide un buon ricordo reciproco è stato per me un regalo immenso, della stessa portata - immagino - che per lui ha avuto la promozione in A del Monza e questo campionato di calcio navigato a vele gonfie, dopo un inizio difficile.
P.S. Ho ricordato Mario Bonati, il “monzese” (poiché ce n’è uno anche a Bergamo, di Mario Bonati, che stimo molto, pure per motivi differenti) e Angelo Longoni.
L’elenco di colleghi o collaboratori legati a Il Cittadino e a cui sono grato e affezionato sarebbe tuttavia lunghissimo e se non faccio nomi è soltanto perché qualcuno o qualcuna finirei per scordarla e non me lo perdonerei.
Ciascuno di quei visi, di quelle menti, di quelle storie professionali mi ha dato assai più di quanto io sia riuscito a restituire, perciò sarò loro grato, sempre.
Così come riconoscente resto per una città, Monza, e un territorio, la Brianza, legati da secoli ad asola, eppure profondamente diversi, entrambi ricchissimi, di cultura e umanità prima ancora che di denari.
Nel tempo trascorso lì, nell’esperienza di direttore di una testata storica, ho commesso molti errori (di alcuni me ne sono reso conto, di altri no, e me ne scuso se hanno comportato conseguenze), tuttavia d’un fatto sono certo, senza timore di smentite: ho sempre guardato tutti dritto negli occhi, vedendo sempre, prima di tutto, delle persone, uomini e donne.
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