mercoledì 15 giugno 2011

Bennet Cantù: dieci motivi per crederci

Se non sono venti, sono vent'uno. Il Cantù Basket è stato il mio secondo giornale e per il Cantù Basket ho intervistato il primo personaggio famoso (Eros Ramazzotti: eravamo entrambi poco più che maggiorenni, io universitario alle prime armi con penna e taccuino, lui già idolo delle ragazzine. Ricordo che lo incontrai poco prima di un concerto. Aveva calze bianche e si massaggiava i piedi mentre parlavamo). In tanto tempo, non sono mai mancato all'appello, grazie al buon cuore e alla tenacia di Dino Merio, che mi ha voluto e mi ha sempre difeso, compreso due anni fa, quando al coach di allora non piacque ciò che avevo scritto e, per colpa mia, per la prima volta nella storia della pallacanestro canturina, l'intero pacco fu ritirato e nessuna copia fu distribuita al Pianella. Volevo andarmene, Dino non volle sentire ragione, dimostrandomi ancora una volta che l'amicizia ha un valore specie quando non ha prezzo. Oggi la Bennet ha vinto gara tre della finale di play off con Siena. Quello che pubblico qui è il testo dell'editoriale che, per quella gara, ho scritto. Lo riporto qui, perché la serie non è ancora finita, perché dopo domani c'è un'altra partita, perché se c'è anche una sola possibilità su cento di sognare, val la pena lottare allo spasimo, fino all'ultimo.

Ci siamo. Vorremmo cedere al sentimentalismo e lasciarci andare alle celebrazioni, ai festeggiamenti per una finale attesa trent’anni, quando la maggior parte di chi è oggi alla Ngc Arena nemmeno c’era. Non c’era nemmeno la Ncg Arena: solo il Pianella. Non possiamo. Manca un ultimo sforzo, un ultimo passo: giocarcela fino in fondo. Siamo arrivati così lontano che sarebbe peccato mortale non essere concentrati al massimo, non avere un appetito mostruoso. Ecco perché, più dei ringraziamenti (ci sarà tempo) preferiamo dieci buoni motivi per essere incacchiati neri, per essere sicuri che gli occhi della tigre non mancano.

  • Dobbiamo giocare duro, perché è una vita che aspettiamo.
  • Dobbiamo essere tosti, perché molti che avrebbero meritato di essere qui non ci sono più. Sia in tribuna, sia in campo. E non ci riferiamo soltanto a Denis Innocentin, Chicco Ravaglia e a chi la vita è stata spezzata troppo presto, ma anche a tanti atleti valorosi, campioni e anche onesti lavoratori del parquet che in questi trent’anni hanno sputato sangue senza riuscire nemmeno ad avvicinarsi al paradiso.
  • Dobbiamo essere concreti, perché adesso le chiacchiere stanno a zero e a prescindere dalle prime due partite di questa serie finale, dalla Ncg Arena non deve passare lo straniero.
  • Dobbiamo essere intensi, perché di fronte non abbiamo una squadra forte, ma una super, la migliore di un intero decennio, che può stare antipatica fin che si vuole ma ha fuoriclasse che se gli dai mezzo metro non ti fanno vedere la palla lontana un chilometro.
  • Dobbiamo essere umili, perché quel che è stato fatto fino ad ora vale zero, perché tutto è cancellato e bisogna ricominciare da capo, dall’ultimo gradino.
  • Dobbiamo essere spavaldi, perché ha ragione Trinchieri, quando con un boccale di birra in mano, la voce roca, davanti agli Eagles, indica i suoi giocatori e dice: “Ricordatevi una cosa: un gruppo di giocatori così, non li ha nessuno.
  • Dobbiamo essere orgogliosi, per tutti coloro (moltissimi) che questa squadra non la seguono soltanto ora, ma erano in tribuna, in gradinata, in curva quando annaspava all’ultimo posto, in anni bui che al confronto è luminoso pure il nero. Diciamo soltanto una lettera e un numero: A2. C’eravamo noi, mentre gli altri festeggiavano. A lungo abbiamo atteso il nostro turno.
  • Dobbiamo essere tecnici, perché al di là delle chiacchiere, finora Cantù ha giocato il più bel basket del campionato: difesa accanita, giro della palla fluido, scelta di tiro mai forzata. Non dimentichiamolo.
  • Dobbiamo essere sereni. In campo e sugli spalti. Perché perdere la faccia è peggio che perdere quella parolina che all’inizio dell’anno abbiamo giurato di mai nominare e che fa rima con benedetto, architetto, provetto…
  • Dobbiamo essere visionari, perché solo chi sogna non vive nell’incubo e si alza ogni mattina soddisfatto, sapendo che quel sogno può trasformarsi in realtà. Basta crederci e volerlo, più di chiunque alto. Forza ragazzi, siamo tutti con voi.

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