giovedì 10 maggio 2012

Piange il cielo ed è in buona compagnia

Foto by www.lyonora.it
Aldo si ricorda sempre e mi fa piangere, scrivendo come io non saprei, con una delicatezza e un'intensità che mi lasciano senza fiato, nel constatare un'amicizia che non è nemmeno paragonabile alle mie. Vorrei fosse qui, vorrei abbracciarlo e piangere, come non ho mai fatto, e come non farò, per pudore, vergogna, imbarazzo. Non lo farò mai, ma è come se lo avessi mille volte fatto.
La sorpresa quest'anno me l'ha fatta Giovanna, che in dieci parole e un numero ha fatto eco ad Aldo e raccontato tutto: "Domani, 11 Maggio. Un pensiero al caro Gianni, amico e collega".
Io per le date sono un disastro. Ricordo a malapena quando sono nato, il resto è sforzo di meningi o oblio, compresi quei giorni che mi hanno marchiato a fuoco. L'11 maggio è stato uno di quelli, anche se Roberta, Fabrizio e Marinella ne conserveranno più momenti, mentre io ricordo sopratutto le sbarre fredde del letto, la mano che gli tenevo e le lacrime che sono le stesse che mi riempiono gli occhi ora, che mi sembra di averlo davanti, che non ci credo che se ne sia andato per sempre, di non poterlo vedere ridere, sentire la sua voce. No, non può essere tutto finito, non possiamo essere scie fredde di cometa, particelle a casaccio fatte uomo per caso e poi dissolte nel nulla.
Nel frattempo, nell'attesa che sia svelato il mistero, tiriamo dritto, andiamo avanti, senza troppe scene, cercando di portare nel cuore più ricordi possibile, immaginandolo ancora qui, potendogli dire ciò che forse non ci siamo mai detti per bene, cioè che gli volevamo bene, che era tutto per noi, e che abbiamo imparato anche dai suoi difetti, che non se ne faccia un cruccio adesso, che siamo ciò che lui avrebbe voluto, anche se quando ha chiuso gli occhi non lo sapevamo, non immaginavamo di poterlo essere, tante erano le sue aspettative o forse erano soltanto quelle che pensavamo avesse, mentre per lui andavamo bene così e teneva soltanto la corda tesa, per quel suo carattere che non accettava la rinuncia, il ribasso. Vorrei che potesse vedere com'è diventato alto Alberto, che donna ormai s'è fatta Silvia, come gioca volentieri al pallone Christian e che faccia da furba ha Alice. Carne della sua carne, seme che ha dato frutto, che porterà traccia di lui negli anni, in saecula saeculorum, anche se c'è altro, precisamente quel filo che grazie a lui unisce loro a me a mia mamma a Giovanna ad Aldo e alle decine di persone che l'hanno conosciuto. No, non è vissuto invano. E ora, al buio, accanto al mio letto mi pare di vederlo, vestito elegante, ben pettinato, che ride schiacciando un occhio e si appoggia allo stipite per non perdere l'equilibrio. Lo stesso equilibrio che non perdiamo noi, nonostante lui sia da un'altra parte e ci manca un sacco.

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