venerdì 27 giugno 2014

L'uomo che sono, il vecchio che sarò, il bambino che ero

Foto by Leonora
Stasera ho visto "Dear John", che a parte le lacrime, la bellezza dei protagonisti e il ritmo lento, riporta una frase più vera del vero: "Che siano le due settimane che ho passato con te o gli ultimi due mesi trascorsi con lui, ho imparato che il tempo si esaurisce sempre".
Brutta faccenda quella del tempo, delle lancette che girano, dei granelli di sabbia che cascano senza possibilità alcuna di tornare indietro. A volte mi sorprendo a scrutare il volto delle persone che ho accanto o che semplicemente conosco, i mutamenti percettibili del viso, la trasformazione fisica che avviene in loro. Fissandoli con attenzione noto quanto sono diversi, con lo stupore di non avervi fatto caso prima, di scoprire soltanto in quell'istante che sono cambiati, alcuni non somigliando affatto ai ragazzi che erano, altri diventando in modo altrettanto sorprendente simili a chi li ha preceduti, al loro padre, alla loro madre, ai nonni, quando li avevano.
Un esercizio che pratico talvolta su me stesso, inquadrandomi allo specchio, notando le rughe, la pelle meno elastica, i capelli e la barba spruzzata di bianco. E' allora che mi torna in mente quando ero bambino, il piacere che provavo a guardarmi negli occhi, sempre allo specchio, e a realizzare che quelle pupille erano proprio mie, che quel bimbo era un essere pensante, unico, con un volto, un corpo, un nome: Giorgio. Giorgio... Giorgio... Giorgio... lo ripetevo spesso. Scandendo bene le sillabe, osservando le labbra che si aprivano e chiudevano, la lingua che trillava sulla r.
Di quei momenti privati mi vergognavo, mi parevano un'esagerazione, un vizio, anche se mi facevano stare bene, mi infondevano sicurezza, mi facevano sentire vivo. Scoprii molti anni dopo, all'università, durante un seminario di filosofia del diritto, che quel gioco in realtà era normalissimo e portava alla realizzazione di sé, alla comprensione e alla consapevolezza che c'ero, che ero davvero io, unico, appunto.
Quell'essere sta diventando vecchio, eppure se mi concentro a guardare le pupille, mi pare di vedere ancora il bambino che ero, che da qualche parte è cambiato e da qualche altra è rimasto.
Il tempo si esaurisce sempre, ha ragione la protagonista di "Dear John". Non c'è scampo, semmai una consolazione: averlo vissuto, quel tempo, in modo pieno, non al risparmio, pur senza imprese eroiche, nella normalità del giorno dopo giorno, sapendo di non poter vedere, sapere, provare tutto ma quel poco o tanto gustandoselo.
P.S. Il professore di filosofia del diritto di cui ho scritto fece poi scandalo e fu cacciato dall'università Cattolica, per ragioni non attinenti alla realizzazione del sé, bensì per il suo insegnamento non giudicato eterodosso rispetto ai principi cristiani. Il suo nome è Luigi Lombardi Vallauri e a parte certe divagazioni eccentriche sulla materia con cui sosteneva erano fatti gli spettri non mi era parso così malvagio. Volevo dirlo.

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