sabato 28 febbraio 2015

Si stava peggio (quando si stava peggio)

Foto by Leonora
Ci lamentiamo troppo, specie a casa nostra. La colpa per la maggior parte è mia, che d'istinto me la prendo per cose da nulla, insegnando ai figli la reazione più sbagliata. Una sensazione che ho da qualche tempo, un errore di cui mi sono accorto con lucidità ieri sera.
Andiamo con ordine.
C'erano pochi ragazzi ed è un peccato, perché l'incontro sarebbe stato ancor più interessante per loro, come mi  ha detto Davide (Passoni), ma la cinquantina di persone presenti e lo spirito con cui si è tenuto hanno ripagato con abbondanza l'impegno per prepararla da parte di Isabella e di chi l'ha aiutata.
Il tema del dibattito erano le nostre radici contadine. Titolo scelto: "Sotto la neve pane", anche se sotto la neve - abbiamo scoperto - di pane ce n'era poco e anche quel poco era giallo, gramo, raffermo, spesso ammuffito, accompagnato a un companatico di stenti, debiti, fame, malattie, miseria...
E' stato bravo Luigi Clerici a spiegarlo e mentre parlava riflettevo su quanto corta e vaga sia la nostra memoria. Anche quella in buona fede, alimentata dai ricordi dei più anziani e dei racconti di genitori e nonni, nati tutti però nel Novecento e dunque con una visione limitata.
Ieri ho realizzato con chiarezza che le difficoltà della generazione che mi ha preceduto e che pur mi sembrano terribili quando le sento dalla voce di mia mamma (classe 1940) sono blande in paragone a chi c'era prima. Vessazioni, carestie, cibo scarso e sempre quello, sofferenze erano la norma.
E' vero, come insegna Primo Levi, che non esiste una forma di infelicità perfetta e persino nel lager nazista esisteva una normalità che comprendeva gioie e soddisfazioni, ma se osservate con i nostri occhi e immaginate sulla nostra pelle quelle condizioni risultano d'uno spavento tale che si rizzano i capelli in testa (chi li ha).
La locandina della serata
Due i sentimenti che ho provato, mentre ascoltavo il resoconto puntale dell'esistenza di chi mi ha preceduto, degli uomini e donne sulle cui spalle siamo saliti per arrivare al punto in cui siamo ora.
Primo: siamo davvero fortunati, una buona sorte paragonabile all'aver vinto il superenalotto ogni mattina, giuro che prima di lamentarmi di qualcosa che non va, di alzare il sopracciglio per un torto nelle mancanze materiali, ci penserò dieci volti. E anche quando lo farò sarò consapevole della pochezza di quanto vado dicendo, aggiungendo al brontolare un sorriso d'ironia.
Secondo: davvero erano tipi tosti i nostri avi, gente forgiata d'una tempra di cui oggi s'è persa traccia ma a cui in altri ambiti, in differenti situazioni, noi assomigliamo, perché i cromosomi sono identici e dunque alla memoria per quanto sono riusciti a fare loro va a braccetto la speranza, la certezza anzi, che qualsiasi cosa capiti - crisi economiche, maggior tasse da pagare, diritti ritenuti fondamentali che vacillano... - sapremo reagire anche noi, sopravvivere. Cavarcela insomma.
Ed ora mi preparo alla solita filippica di Giovanni che quando si sveglierà e non troverà i frollini della sua marca preferita metterà in piedi un pianto greco che Eschilo o Sofocle sarebbero fieri di lui o di Giorgia, che monterà su tutte le furie perché alla brioche fresca portata a casa ieri sera da suo fratello non può aggiungere la Nutella (d'accordo, lo ammetto, l'ho finita io!), o di Giacomo che invece di tre simil Magnum di gelato potrò mangiarne soltanto due e imprecherà contro il cielo e gli uomini: e il dramma è che non posso incolpare loro, poiché il primo re della lagnanza per quisquiglie sono io, che per la pasta leggermente scotta o per un sugo che non è quello che mi ero immaginato posso andare avanti a menarla per mezz'ora.
Se esiste una vita dopo la morte, siano clementi coloro che mi hanno preceduto e che avrebbero tutto il diritto di farmi passare qualche secolo di purgatorio a calci nelle terga (e scrivo terga ma meriterei espressione più volgare e consona).
P.S. Devo delle scuse pubbliche a Luigi Clerici, perché per molto tempo ho sottovalutato il lavoro che faceva. Non che ne parlassi male, non ne avevo l'occasione del resto. Il mio torto è stato peggiore di colui che sparla ma a ragion veduta, poiché conoscendolo in altro ambito (lui si occupava della comunicazione del Comune di Como quando io lavoravo prima a Etv poi a La Provincia) avevo la presunzione di conoscere i suoi scritti senza averli letti. Un due più due sciocco prima ancora che sbagliato, di cui mi pento e chiedo scusa. L'anno scorso poi, quasi obbligato per non ricordo quale evenienza, mi sono trovato a leggere una sua pubblicazione e l'ho trovata eccellente, capace di coniugare il rigore storico appunto alla divulgazione semplice, lineare diretta. Una qualità che ho avuto modo di riscontrare di nuovo ieri sera.

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