giovedì 3 novembre 2011

Mio padre e il default Italia

Mio padre - che se non avesse tolto il disturbo prima, dopo domani avrebbe compiuto settantaquattro anni - non ha mai comprato a rate nulla, se non un camion, il primo e l'unico intestato a lui, quando a quarant'anni decise che era ora di mettersi in proprio e mettere da parte qualche soldo, comprare un pezzo di terra, da buon valtellinese, che nel sangue ha il mal della pietra.
Fino ad allora era uno stimato dipendente, operaio specializzato ma semplice, senza ruoli di comando, "perché bisogna avere il carattere per comandare e io non ce l'ho" mi spiegò la volta che gli chiesi ragione del fatto che il vicino di casa era un caporeparto e lui aveva preferito restare al piano terra. Non era adatto per fare il capo ma sapeva farsi rispettare da tutti, non concedendo un eccesso di confidenza a nessuno. Aveva una dota particolare: sapeva cavare il meglio anche dai più timidi, da chi non gradisce essere incalzato e ha i suoi tempi e i suoi modi per affrontare la vita. Era un maestro del dialogo, perché sapeva ascoltare non soltanto con le orecchie, ma con il cuore, comprendendo anche ciò che l'altro non diceva.
Si pentì subito del passaggio dall'industria al commercio, però non è mai stato tipo da abbandonare a mezzo la partita. L'ho sempre visto alzarsi all'alba, la mattina, bere il suo caffélatte con dentro il pane della sera prima e stringere i denti, fare quello che non gli piaceva, ritagliandosi le sue soddisfazioni con gli amici o in quei momenti di tregua che si concede anche la gente di questo lembo di terra, capace di lavorare per ore senza fiatare, a testa bassa.
Ho preso la strada per la periferia ma ritorno al centro di ciò che volevo dire. Mio padre non ha comprato nulla a rate. Quando voleva qualcosa dava fondo ai risparmi accumulati con ostinazione e pagava in contanti, sull'unghia. "Non voglio debiti - diceva - perché mi piace dormire, la sera e anche quando la notte diventa mattina". Così facendo, secondo gli studiosi, non era uno di coloro che fanno girare l'economia, ma alla larga gli giravano pure i guai, non soltanto la finanza.
Se lo scrivo è perché penso a cosa avrebbe fatto se fosse ancora qui, se avesse sentito tutte le voci di default, di fallimento dei mercati, di crac dell'intero sistema Italia. Probabilmente niente. Sicuramente niente. Avrebbe scosso la testa, borbottato, magari bestemmiato a voce bassa, continuando ad alzarsi ogni mattina e lavorare sodo, sperando che nessuna cicala scialacquasse la sua scorta di formica.

Foto by Leonora

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Non ho capito il punto del post. Vuole essere una critica alla gestione italiana? Al funzionamento generale dell'economia? All'impostazione odierna dei mercati?
Laura Tettamanti

Giorgio ha detto...

Ciao Laura. Voleva essere semplicemente un racconto, con la constatazione che la saggezza di paese è spesso migliore della prassi politicae e pure della teoria economica...

Miranda ha detto...

Ogni volta che parli di tuo padre le pulsazioni del mio cuore rallentano, si fanno più timorose...rispettose quasi... difficile spiegare... quando parli di tuo padre finisci per parlare anche del mio, lo avresti detto? Mio padre e tuo padre, che mai si incontrarono... ma quante somiglianze! Forse dovute all'essere appartenuti ad una stessa generazione, cui nessuno regalò niente. Ci teneva mio padre al suo nome, a rispettare la parola data, a far bene il proprio lavoro, a non aver niente di cui vergognarsi... Quanto ci mancano padri e italiani così...per quel che posso cerco di non dimenticare la loro lezione...