Foto by Leonora |
Sarà per questo che mi ha emozionato poco il volo nello spazio di Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana a fare il grande salto, pur se comprendo e rispetto la meraviglia altrui, di fronte a una delle poche imprese in grado di far dimenticare le difficoltà di questi mesi, la recessione, la crisi e tutto il resto, proiettando simbolicamente la generale aspettativa di un migliore futuro.
Difficile però sfuggire, in questi giorni almeno, alle molte cronache, ai resoconti sull'aviatrice e il suo star trek, compresa la tendenza al "siamo tutti esperti" in virtù della quale si tratta con la competenza da bar qualsiasi argomento.
Nel mio piccolo ho staccato la spina, domandandomi: chissà com'è stato per Samantha volare nello spazio, raggiungere l'obiettivo di una vita. Chissà se quell'istante in cui si sarà affacciata all'oblò vedendo il pianeta Terra da lassù - così intero da poterlo afferrare quasi con la mano e così immenso, incantevole, stupendo - l'avrà ripagata dei sacrifici fatti o anche solo soddisfatto appieno la sua curiosità, il suo desiderio. Chissà quanto le è costato esser in cielo, tutta l'attenzione ai numeri, ai parametri, ai cavi, ai dettagli, che toglierebbero poesia pure a un Whitman se fosse chiuso in pochi metri quadri di plastica e metallo.
Una o più volte nella vita siamo tutti Samantha, compiamo imprese o occupiamo posizioni che a vederle da fuori sembrano strabilianti o quanto meno invidiabili, ma che vissute da dentro conoscono pure il sapore amaro del sacrificio e quello acido dell'ansia, dell'apprensione, delle difficoltà. Mi riferisco al lavoro, ma anche alla famiglia, allo sport, agli amici, al circolo o alla scuola che frequentiamo. Facciamo fatica a godere del tempo presente, mentre da lontano sembra tutto bello, perfetto, proprio come il globo che intravede Samantha dalla sua navicella colorata di bianco.
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